.

.


28 agosto 2021

SU IL PIACENZA ARTICOLO TEMPLARI

L'INQUISITORE NON SCHERZAVA
Ecco l'elenco dei beni sottratti in vari luoghi del piacentino ai Militi del Tempio i cosiddetti Templari, accadeva nell'agosto del 1308
l'INQUISITORE agisce a Cotrebbia, a Castro Novo ultra Pado e a Fiorenzuola d'Arda 
un bell'articolo dettagliato di Umberto Battini
 
LEGGI L'ARTICOLO APPARSO SUL QUOTIDIANO ILPIACENZA



27 agosto 2021

TEMPLARI PIACENZA ANNO 1308




 Un agosto caldo più del solito a Piacenza in quel 1308: due inquisitori papali vagano per la città e la sua provincia e non scherzano affatto, devon mettere sotto torchio i cavalieri templari accusati di eretica pravità.

  L’esproprio dell’inquisitore dei beni dei cavalieri templari di Piacenza viene riassunto in modo chiaro da Gaetano Tononi che in due brevi articoli apparsi sulla Strenna Piacentina del 1885 e del 1895 trattò dei Templari nel territorio piacentino e ci rese delle notizie su questo tragico evento. La Bolla di papa Clemente V del 12 agosto 1308 scritta a Poitiers portò all’inizio del processo a Ravenna anche per questi piacentini, il papa dice i Templari essere nefandi (ripugnanti ndr) e agli inquisitori “ordina a tutti sotto pena di scomunica di denunciarne i beni mobili ed immobili destinati alle spese delle guerre per la Terra Santa”.

 Per esser precisi e dettagliati siamo andati a rileggere le pergamene latine ufficiali pubblicate in un regesto e abbiamo fatto le pulci al testo scoprendo curiosi dati che l’inquisitore fa mettere a verbale dal suo notaio.

 Salta all’occhio dello studioso attento della storia che i frati di S. Sisto di Piacenza cedono a Cotrebbia (vecchia ndr) terre ai templari e danno la domus ma continuano ad avere la proprietà e ad officiare messa nella chiesa dedicata a S. Pietro, la stessa nella quale nel 1154 venne lo stesso Barbarossa, infatti anche i frati benedettini avevan ancora serventi a lavorare su alcune loro terre e gestivano a pieno diritto il porticciolo sul Po lì vicino che dava una buona rendita finanziaria.

 I miles templari invece potevano andare a svolgere i loro riti sacri nella chiesa e ospedale di Sant’Egidio, in via Campagna a Piacenza, distante solo una quindicina di minuti a cavallo, ed andavano lì perchè la loro prima antica chiesa e convento di Santa Maria del Tempio di fianco a S. Giovanni in Canale l’avevano ceduta nel 1304 ai domenicani, mentre ad esempio a Fiorenzuola d’Arda, come vedremo, che è distante un giorno di cammino da pellegrino dalla città avevano una loro propria piccola chiesa privata.

  Dopo solo dodici giorni dalla Bolla papale il 24 di agosto in città son già alle strette, i messi papali a cavallo dalla Francia han galoppato senza sosta: da Piacenza, dalla chiesa di S. Giovanni in Canale l’inquisitore capo fra Guglielmo da Genova “in giorno di sabato” si reca a Cotrebbia e ne prende possesso : “...in Episcopatu Placentie , in loco Cotrebie... Frater Guilelmus Januensis fratrum Ordinis Predicatorum Inquisitor heretice pravitatis in Lombardia et Marcha Januensi a Sede Appostolica deputatus (nell’espiscopato di Piacenza, nel luogo di Cotrebbia... fra Guglielmo da Genova frate dell’Ordine dei Predicatori (Domenicani ndr) Inquisitore della malvagità eretica per la Lombardia e la Marca di Genova incaricato dalla Sede Apostolica)”.

 La pergamena porta la lista esatta di tutto quello che viene posto sotto sequestro e tra i testimoni presenti c’è anche il vice-inquisitore, insomma un atto giuridico in pompa magna di grande autorità. Ecco cosa fa scrivere l’inquisitore a Jacobus de Caxano publicus notarius Placentie, circa quello che trova a Cotrebbia nella domo Ordinis Templariorum posita ultra Treviam e di tutte le terre loro pertinenti che sono dodici fattorie “circa duodecim mansa” e che pensiamo a ragione comprenda alla Bonina di Calendasco la località detta il Tempio con odierna fattoria così come il molino dei frati all’Incrociata, ancora esistente, e si colga la distinzione netta tra domo e manso che viene messa per iscritto.

 Il testo elenca in latino, in modo non omogeneo cose e oggetti della “domo Ordinis Templariorum” come li proponiamo: una botte e due carri, cinque casse delle quali due con coperchio, una scranam (sedia ndr), una botte da carro, dentro alla stalla una cassa senza coperchio e poi una cucina (cochina, inteso l’ambiente ndr), un tavolo e unam scranam, praticamente non trova nulla a parte il caseggiato.

 Qui a Cotrebbia la parte più corposa rimane quindi quella dei mansi con relative terre poste in questi dintorni, certo è che questa Domo senza dubbio era quella più ricca in tutti i sensi perchè da lì si governavano i possedimenti, viene spogliata per tempo di tutto ed i templari piacentini vi lasciano solo un tavolo con una sedia così da renderla momentaneamente inabitabile.

  La domenica del 25 agosto di quel 1308 il vice inquisitore domenicano frate Giacomo di Montedonico, obbediente al proprio mandato, passa il fiume Po e si porta nel distretto di Lodi a Castel Novo ultra Padum, che resta attaccato al fiume dirimpetto al Mezzano di Calendasco e vicino a Somaglia, la fattoria ancor oggi è visibile: “secundum predictum mandatum, de voluntate et mandato dicti domini Inquisitoris intravit in tenutam et corporalem possessionem cuiusdam domus Ordinis Templariorum posite in suprascripto loco Castri novi de ultra Padum”.

 Questa volta tra i testimoni presenti della nobiltà feudale piacentina c’è anche Tommaso Confalonieri, forse per il fatto che questi sono infeudati nel vicino luogo di Calendasco e quindi diretti interlocutori per certi versi, con i lavoratori delle terre a manso templari. Si legge che la casa templare “domus vacua et spoliata erat” cioè completamente vuota e saccheggiata, senza dentro nulla ma le terre intorno davano una rendita di dodici lire imperiali.

 Con il terzo atto notarile dello stesso giorno, l’inquisitore che è sempre a Castel Novo d’oltre Po prende possesso della terra di Montisdomnico (Monte del signore, del padrone ndr) che è di centodieci pertiche ed è tutta braida cioè prativa, altra terra a Campo Malo che è confinante con i Ronchi che è un appezzamento vicino alla Somaglia e che sono i luoghi studiati dal Solmi circa l’area delle Diete del Barbarossa che appunto venne anche in Cotrebbia. Interessante anche che sian segnalati i possessi di alcune terre gerbide, altre boschive e prative ed anche di vigne delle quali una di otto pertiche completamente devastata e distrutta, irrecuperabile e anche terre vicine al castello del quale non resta traccia oggi.

 La quarta carta è del 26 agosto die Lune (lunedì), ci dice che il vice inquisitore fra Giacomo di Montedonico ora è a Fiorenzuola e prende possesso della “casa templare con annesso salone per le assemblee e con una piccola chiesa” che però erano completamente vuote senza nessun oggetto, “intravit quamdam domum cum curia et quamdam Ecclesiam parvam Ordinis Templariorum positas in loco Florenziole , que domus et Ecclesia totaliter erant vacuate”. Ai frati templari vien posto sotto sequestro anche un molino che rende di fitto sedici soldi imperiali oltre a due gruppi di più case, non ben definite circa il luogo ed affittate e si sequestrano cento pertiche di terre coltivate a prato e vigne.

 La cosa interessante è che l’inquisitore domenicano fra Guglielmo da Genova l’anno dopo cioè nel 1309 presenta una lista precisa e certosina degli introiti dei beni che prima erano dei templari venduti o fittati dopo le confische. Il buon frate presenta pure la lista delle spese che ha dovuto sostenere per dar luogo al mandato papale e leggendola si capisce che non fa sconti, elenca una per una ogni spesa e relativo motivo, ha preteso fino all’ultimo centesimo per il suo servizio, sappiamo che gli è stato certamente pagato detraendolo dal gruzzolo templare sequestrato, abbastanza ingente.

 Un episodio locale che ha toccato la storia medievale del tempo che ancor oggi viene divulgata, studiata e raccontata con enfasi da tanti estimatori di questo ordine militare cavalleresco la cui regola è stata scritta addirittura da S. Bernardo di Chiaravalle.

Umberto Battini
studioso di storia locale
 
fine della prima parte, continua
se copii usa l'etica

QUATTRO CONGIURATI

SENZA SAPERLO FONDARONO IL PLAC
Pallavicino - Landi - Anguissola - Confalonieri
 
 
Il fattaccio di Piacenza del 10 settembre 1547
Avvenne nel castello della Cittadella perchè il palazzo Farnese, quello che vediamo oggi, non c'era ancora
 
  Il Duca Pier Luigi seppur preavvisato qualche tempo prima “i nomi de’ Congiurati, procurò per vie non lecite, sia per mezzo di Stregoni di saperlo; né con tutto ciò certezza poté havere…”
La moneta coniata dal Duca Morto quando era Vivo riportava scolpite le lettere PLAC e le parole Pet.Aloy.Farn.Plac.Dux. Putacaso le stesse prime lettere dei cognomi dei congiurati: Pallavicini, Landi, Anguissola e Confalonieriet il luogo era PLACentie”.
 
  Ma sta inganno si scoprì solo dopo la morte. A noi sta bene ricordare del Giovan Luigi Confalonieri di Calendasco lì abitante e feudatario (con i fratelli!); mandò quindi il giovanissimo nipote del Duca ucciso, cioé l’Orazio Farnese, sicari contro il Confalonieri che però miseramente non andarono a segno.
 
  Non fu l’unico tentativo dei Farnese nello scorrer del tempo. Eh sì, era dura da digerire perché non ostante l’onta del Duca Morto si recita testuale nella confisca che “l’Ecc.mo Signor Duca di Parma (Piacenza non è nominata in questo atto e ciò la dice lunga ndr) pagarà l’ammontare del Castello, beni et ragioni di Calendasco delli Ill.mi Signori Confalonieri secondo l’estimo fatto…”. 
  Gli tocca pure pagare e molto! Dimenticavo siamo nel 1582, il fattaccio era del 1547! 
Domanda:  avrà saldato con l’antico conio PLAC? 

Umberto Battini
per la storia locale 
se copii usa l'etica 
 

IL SOLMI

LO STUDIOSO
La pubblicazione dei suoi studi è stata fondamentale

Arrigo Solmi fu elogiatissimo storico.

Anche circa il Po, il Barbarossa e le Roncaglie delle Diete fu specialista. Gli studiosi e gli storici odierni – e proprio quelli diciamo col pedigree – gli riconoscono questa fama e ne dichiarano la buona fondatezza basata su solide scartoffie d’archivio! E allora ri-parliamo di guado del Po o meglio di guadi. 

Fino a pochi decenni fa era attivo al Mezzano un servizio traghetto del famoso Docì. Negli anni del 1950 si andava a ballare di là da Po, a Somaglia e lì al Mezzano o meglio al Rastello bastava un grido dalla sponda e il Docì ti veniva a prendere, ce lo raccontavano i vecchi.

Di là c’è il convento (oggi normale cascina agricola ma un tempo benedettina come Cotrebbia vecchia) di Castelnuovo e poco più in su il paese di Somaglia. 

C’è ancora un bel attrezzatissimo porticciolo ma non si fa più servizio di guado, perché abbiamo le macchine e si fa prima. Quell’area che prende tra il ballottino della Somaglia e quello al di qua di Calendasco del Rastello giù fin quasi alla Raganella, il Solmi – con ragionamento e carta che canta – afferma essere la zona dell’accampamento del Barbarossa e Cò Trebbia vecchia con la sua vecchia chiesa di S. Pietro infatti è lì limitrofa, anche quello luogo di discussione delle Diete. 

La buona supremazia nei secoli del passo del Po tra Somaglia e l’area di Calendasco per puntare su Piacenza ce la dà nel 1454 il Duca di Milano Francesco Sforza che intima di sorvegliare bene il passo citato – ed anche i vari passi del fiume – perché l’esazione delle gabelle pareva impoverirsi.


 

 

24 agosto 2021

IL GABBIOTTO

APPESO ALLA TORRE
VOLUTO DA LODOVICO IL MORO
Un grande gabbione a Piacenza 

 
 La cattedrale di Piacenza mostra al popolo e al turista una grande gabbia di ferro appesa alla torre campanaria, e la sorpresa e le curiosissime domande arrivano senza attesa: come mai? quando venne posta lì? chi ospitò?
Servendoci del Ristretto di storia patria ad uso dei piacentini al volume 3 del 1831 di Antonio Domenico Rossi si legge che:
"Lodovico il Moro prescrisse, con lettera del 12 febbraio di quest'anno (1495 ndr), indirizzata agli Ufficiali suoi di Piacenza, che la Comunità dovesse far costruire una gabbia di ferro nel campanile della piazza del Comune (in allora ritenevasi tuttavia per piazza del Comune quella del Duomo), dell'altezza e larghezza di quella del campanile del Broletto di Milano, onde chiudervi i sacrileghi.".
Di certo viene ricordato in questo libro, ma anche in altri lavori storici piacentini inerenti la gabbia, che non risulta esservi mai stato messo nessuno dentro, e che la gabbia non fu opera del vescovo ne dell'inquisizione ma appunto di Lodovico il Moro in quegli anni signore di Piacenza.
Ma la curiosità locale ha fatto sì che nel tempo girassero voci popolari su individui messi là dentro a morir di fame, sete e stenti per le avverse condizioni del clima.
 
 



19 agosto 2021

LA COLONNA

COSTRUITA NEL 1997
PAGATA DAI SOCI
La Compagnia di Sigerico oggi ha la sede nell'antico ospitale di San Corrado a Calendasco
 
Eccole lì nella foto: la colonna del guado del Po di Corte Sant'Andrea e quella di Soprarivo
 
La colonna di Corte Sant'Andrea è stata ovviamente ideata e pagata dai Soci della Compagnia di Sigerico Laudense, guidata dal mitico e buon amico Giovanni Favari.
La colonna presso il Po a Soprarivo di Calendasco è stata realizzata grazie ai soci della Compagnia di Sigerico del paese e inaugurata con una santa messa il 6 aprile del 1997.
Sulla origine, la storia e i nomi dei soci della Compagnia di Sigerico di Calendasco ci sarà tempo per scriverne, oggi basti ricordare che appunto fu voluta e pagata dai Soci tutti e da anni la sede ufficiale del sodalizio culturale è nell'antico ospitale e romitorio di San Corrado Confalonieri. 
Per verità storica bisogna anche precisare che la bella formella che vedete incastonata in alto nella colonna, che rappresenta un pellegrino medievale, è stata scolpita al tempo dal socio Federico Serena.
Ma ovviamente tanti sono gli aneddoti socio-culturali che da quel tempo si sono realizzati: primario resta lo studio storico e la sollecitazione delle Istituzioni Civiche Statali piacentine per la realizzazione del Guado che decidemmo di chiamare "di Sigerico" per il fatto della Francigena e che ha portato appunto a recepire i fondi dell'Europa per questo progetto!
Ma di tutto questo narreremo con dovizia di particolare più avanti e di cose ce ne sono tante.
 

16 agosto 2021

LA VIA DEGLI ABATI

UNA STRADA ANTICA 
LA VIA DI SAN COLOMBANO
Da Pavia andava verso Bobbio 
 

di Umberto Battini

  studioso di storia locale

 

Profuma di longobardi la Via degli Abati perchè è la Via ufficiale storicamente riconosciuta sulla quale ha camminato San Colombano, passo dopo passo, per giungere fino a Bobbio.

Pavia a quel tempo era la capitale del regno italico, e dominavano i longobardi che concessero a S. Colombano un sacco di terre presso Bobbio e proprio qui fu da allora edificato quel grandioso convento benedettino nel quale venne addirittura trascritto un testo passato alla storia: l’Editto di Rotari!

Il monaco irlandese arrivò a Pavia nel 612 e grazie a Teodolinda ottenne grandi benefici, come appunto i possessi immensi bobbiesi. Il Santo morì nel 615 e gli successero Sant’Attala e poi San Bertulfo: ecco da dove arriva il nome di Via degli Abati (che nei secoli furon tantissimi ovviamente).

Nell’Oltre Po pavese questo itinerario culturale è ben segnalato ma anche esistono ottimi libri di studi e materiale informativo su questo percorso per moderni pellegrini, insomma è una antica Via storica da non confondere con la Via Francigena, sarebbe un errore storico grossolano. Chi vuol "camminare" sui passi di San Colombano deve fare questo antico tracciato che tocca località collinari e montane ricche di storia.

Rimane ovvio ribadire che San Colombano da Pavia puntava su Bobbio seguendo un itinerario stradale più comodo, breve e a quel tempo già delineato per collegare la capitale longobarda a quelle montagne. La strada è anche conosciuta come Via di San Colombano e sul web potrete trovare indicazioni precise con il percorso diviso per tappe ed ottime mappe.

Da Pavia questo antico percorso immerso in un paesaggio mozzafiato, arriva a Spessa Po dove era il porticciolo e guado (oggi un moderno ponte) per immettersi verso Portalbera e quindi si scende verso Stradella da dove si inizia il percorso collinare che infine si addentra tra i monti ed arriva a Bobbio.

San Colombano riposa nella cripta dell’abbazia in questa piccola città che oggi è in provincia di Piacenza: questo è il percorso fatto storicamente dal Santo Irlandese e ancor oggi turisticamente consigliato.

I LINK UTILI PER IL MODERNO PELLEGRINO

nelle due immagini potete vedere l'itinerario della VIA DEGLI ABATI la storica strada che ha percorso San Colombano e tanti altri viaggiatori nei secoli.



15 agosto 2021

DOMANDE SU S. ROCCO

SAN ROCCO

TANTE INCOGNITE STORICHE

Ecco alcuni aspetti curiosi

di Umberto Battini 

Proviamo a porci alcune domande su questioni del Santo Rocco ed anche su quelle che riguardano il suo soggiorno qui nel piacentino.

Ben sappiamo che le questioni sulle date di nascita e morte sono dibattute ed incerte ma ad ogni modo sui fatti storici c’è da riflettere e non cambiano di una virgola se è vissuto ad inizio 1300 oppure dopo la metà di quel secolo.

Domanda uno:

come mai si tramanda e non in pochi testi attenzione! che prese dimora vicino a Sarmato in un capanno tra la vegetazione posto non lontano dal fiume Trebbia ?

A Sarmato c’è il fiume Po al suo nord e ad est a circa 5 km il fiume Tidone mentre il fiume Trebbia è a circa 15 km più ad est vicino a Piacenza.

Domanda due:

come mai in alcuni testi si parla di Sarmato e di una grotta per alloggio?

Probabilmente un retaggio poetico? Qui in queste aree padane prossime al fiume Po di grotte proprio geograficamente non è possibile averne traccia.

Domanda tre:

Era un terziario francescano?

Pare proprio di sì perchè papa Paolo III lo inserisce nel Catalogo Ufficiale del Terzo Ordine Regolare di S. Francesco nel 1547 con una Bolla la “Cum a nobis”.

Quando queste avviene è perchè viene presentato del materiale storico e studiato ed approvato dalla Santa Sede, anche in quel tempo, non siate così ingenui da credere che il papa al mattino si sveglia e solo perchè l’Ordine Terziario gli chiede questo atto, il papa così lo fa come bere un bicchier d’acqua!

Domanda quattro:

Perchè il culto è approvato dalla Santa Sede solo nel 1629?

Circa l’approvazione Ufficiale del culto religioso di S. Rocco fatta da papa Urbano VIII nel 1629 è un atto Ufficiale del Vaticano che riconosce questo culto che da tempo memorabile si rendeva al Santo, perchè erano i Vescovi locali che avevan questo potere e prerogativa, magari anche col semplice consenso della Santa Sede.

Urbano VIII quindi supera queste difficoltà passate mettendo il sigillo Vaticano della Chiesa Universale sulla antica venerazione!

Domande che han già qualche ottima risposta a nostro avviso ma che senza dubbio possono essere più dettagliate proprio per comprendere di più e meglio: ad ogni modo S. Rocco resta un potente Intercessore che è vissuto realmente, qui in questo nostro mondo, su questa terra, e nel piacentino ha trascorso parte della sua vita!

Che sia stata ad inizio 1300 o qualche decennio dopo, poco cambia!

E le domande restano.

PUOI approfondire cliccando QUI - ARTICOLO  da ILPIACENZA
oppure leggendo QUI - ARTICOLO (Una selva e tre fiumi)
oppure leggendo QUI - ARTICOLO (S. Rocco itinerario piacentino)
oppure leggendo QUI - ARTICOLO (S. Rocco d'indole francescana)
 
foto: SAN ROCCO con sullo sfondo S. Rocco al Porto il borgo appena al di là del fiume Po davanti a Piacenza- affresco a tempera di Cesare Secchi 1928 - Chiesa parrocchiale

 

 

 

13 agosto 2021

NOTO AGOSTO 2021

 SAN CORRADO CONFALONIERI
Esposta l'Arca con il corpo del Patrono
NOTO Cattedrale 

Il Patrono di Noto e di Calendasco festeggiato anche in tutto il mese di agosto a Noto per ricordare l'indulto concesso nel 1515 per la Processione anche d'agosto
e questo succede da secoli anche se in questo anno particolare per la pandemia
le processioni sono state sospese
 


12 agosto 2021

SAN ROCCO ARTICOLO STORICO

IL SANTO PELLEGRINO
CURIOSITA' STORICHE PIACENTINE
CIRCA SAN ROCCO
 
Vi propongo il mio pezzo storico apparso sul quotidiano ILPIACENZA e relativo a San Rocco, articolo del 12 agosto 2021
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
di Umberto Battini

Interessante la Vita di San Rocco che trovate ormai senza fatica nelle tante edizioni antiche sul web, basta andare su Google e digitare "Vita di San Rocco" e compaiono decine di testi d'ogni epoca dalla moderna a quella scritta qualche secolo fa! In effetti i tanti che scrivevano andavano fidandosi di quel o quell'altro agiografo di San Rocco e trascrivevano pari pari certe notizie senza instillare perlomeno qualche dubbio sul dato storico. Ad esempio qualcuno insinuava il fatto che S. Rocco nei dintorni di Sarmato vivesse in una grotta, cosa alquanto improbabile proprio perché siamo in piena pianura, con qualche avvallamento creato dai meandri dei letti dei fiumi nei secoli ma nulla di più. 

Se quindi leggerete tra le tante Vita di San Rocco vi imbatterete anche nella notizia che egli visse tra la radura e la selva, cioè in mezzo a boscaglie praticabili e non in una grotta ma dentro ad una capanna che era nei dintorni del paese di Sarmato. E' qui che ha il periodo di sosta più lungo per il fatto delle pustule che si  doveva curare: leggiamo che nella verde selva dove abitò vi scorreva un rivo d'acque limpide, utili a lui per detergere le ferite e per dissetarsi. 

La cosa curiosa, molto curiosa a mio avviso, e che potrete appurarlo dai libri che trattano della sua Vita, dopo che ebbe lasciato l'ospedale di S. Maria di Betlhem a Piacenza (oggi chiesa di Sant'Anna) e dopo anche una sosta di qualche giornata al fiume Trebbia dove era il guado, a Sant'Antonio fuori le mura di Piacenza per intenderci presso le Case di Rocco che per altro pare che avessero quel nome già da prima il passaggio di San Rocco, eccolo poi dirigersi ancora più ad ovest dopo Rottofreno e peregrinare ancora per pochi chilometri.

Ora interessa sapere che si tramanda che sostò appunto nei dintorni di Sarmato feudo di Gottardo Pallastrelli presso un luogo ricco di vegetazione e riparato, con una piccola fonte, e non in una grotta, ma ecco che si legge che il luogo dove San Rocco prese dimora era nei pressi del fiume Trebbia!

Cosa impossibile per chi conosce il territorio: Sarmato è a pochi chilometri dal fiume Tidone che sfiora Rottofreno ed ha a nord il fiume Po mentre il succitato fiume Trebbia è a quindici chilometri a est e prossimo a Piacenza.

Fatto sta che anche questa notizia è circolata in antiche Vitae Sancti Rochi e poi certamente tramandata anche solo per "copia e incolla" diremmo oggi, ma resta il fatto che compare in libri storici antichi e non era certo una invenzione poetica visto che il fiume Trebbia esiste!

Sarebbe interessante sapere come mai viene anche tramandato come fatto storico che la sua dimora fosse nei pressi di Sarmato ma in una casupola prossima al fiume Trebbia, cosa come detto assolutamente impossibile proprio geograficamente!

Quale sia il mistero di questo dato non lo sappiamo, possiamo fare la ipotesi che sia un errore di conoscenza dei luoghi, ma suona strano che nel tempo non sia stato corretto citando al limite il fiume Tidone, cosa che non è mai avvenuta.

Resteremo anche con la curiosità di capire da dove sian provenute le voci della grotta di pianura e ancor più del fiume Trebbia spostato di oltre una decina di chilometri dal suo alveo!

Un altro aspetto che si vuol significare è quello d'essere stato S. Rocco un vero e proprio penitente francescano: fu a questo ideale terziario al quale aderì  come era tra le possibilità della Regola del tempo per i laici cioè la Supra Montem del 1289.

Storico è che Papa Paolo III nel 1547 con la bolla "Cum a nobis" inserisce San Rocco ufficialmente nel catalogo dei Santi del Terzo Ordine di San Francesco de penitentia nuncupati; sappiamo anche che Papa Urbano VIII nel 1629 ne approva il culto sebbene fosse già fatto da secoli e papa Innocenzo XII nel 1694 prescrive ai francescani di celebrarlo con grande solennità.

Continuiamo ad analizzare un altro dato storico secondo i dati di Pietro Maria Campi illustre storico piacentino che nel primo 1600 ci lasciò alcuni monumentali libri di storia locale.

Il Campi scrive: "in detto anno 1322 in Piacenza fu l'avventurosa venuta del glorioso San Rocco" e continua "è da sapersi che il santo pellegrino, prima d'entrar in Piacenza, visitò molti villaggi del territorio..." tra i quali Caorso.

San Rocco arriva nel territorio di Piacenza nel 1322 e scorrazza e visita vari luoghi del piacentino, passando per tanti paesi e prediligendo gli ospitali.

Un dato: Calendasco vanta un ospedale antico gestito da penitenti terziari sotto la guida di fra Aristide, che nel 1315 accolse il piacentino S. Corrado Confalonieri dopo il fatto dell'incendio.

Ecco quindi un indizio, che ci fa ipotizzare anche il passaggio di S. Rocco tra i suoi fratelli ospitalieri di Calendasco ed in questo 1322 è ancora in piena attività vestito del saio grigio anche S. Corrado.

Ipotesi che qui in questo luogo di ospitalità l'infermiere itinerante S. Rocco (così lo definiscono eminenti studiosi per il fatto che vagava di ospitale in ospitale prestando anche servizio di carità in opere) incontra S. Corrado e gli altri fraticelli: un incontro tra futuri Santi, emblematico e inaspettato! Dicevamo di San Rocco: studi eminenti ci donano riferimenti storico-critici molto interessanti, in sintesi: lo storico antico Diedo dice San Rocco nato nel 1295 e morto nel 1327 ed un altro studio ci informa che fino ad argomenti più decisivi le date cui attenersi sono quelli forniti dal Diedo e altri ancora propongono invece il 1345-1377 ma sempre con molte incognite.

Se le date prime fossero confermate, ne le prime ne le ultime lo sono con certezza ma aperte a studio e ipotesi ancora ai nostri giorni, vediamo una coincidenza piena con l'epoca del piacentino San Corrado: tra il 1315 e il 1325 possono aver avuto un incontro.

San Rocco resta molto amato nella terra piacentina, invocato contro le pestilenze e non poche sono le chiese e gli oratori a lui dedicati nella nostra diocesi che nel giorno della sua morte il 16 di agosto, lo venera e festeggia con riti sacri e grandi fiere locali molto partecipate a Sarmato e Pontedell’Olio.

6 agosto 2021

IL VESCOVO E IL PANE

Inizia il Mese Corradiano a Noto e da Calendasco voglio proporre queste mie righe, perchè come immaginate, il fervore mi invade fortemente tanto più ora che causa covid e per convalescenza oncologica non potrò esser presente tra i miei fratelli e sorelle devoti di Noto, ma mi resta la forte freschezza mentale e quindi per la Gloria del Patrono scrivo questo testo-studio per questo 2021 che propongo alla lettura e commento di tutti, per certi versi è il mio Cilio a S. Currau!

 

SI LASCIO’ CADERE SULLE GINOCCHIA

IMPOTENTE DAVANTI A S. CORRADO

La testimonianza del Vescovo di Siracusa

 

Umberto Battini

Studioso di S. Corrado Confalonieri



Proponiamo un completamento di dati e fatti per la corretta interpretazione del documento letterario della Vita di S. Corrado dedotta dagli Annales Minores voll. 4 del 1637 scritta da Luca Wadding uno degli storici francescani tra i più autorevoli mai esistiti e per completezza e verifica troverete anche l’immagine del testo che andremo ad analizzare nel dettaglio.

In questo breve saggio voglio portare all’attenzione quella parte che riguarda il fatto della visita inaspettata a S. Corrado del vescovo di Siracusa e quindi darne una sana lettura per comprenderla nel dettaglio: qui il miracolo del pane avviene sotto gli occhi dell’Autorità della Chiesa e il suo avallo determina già in nuce la futura certa elevazione tra i Santi dell’Eremita piacentino.

Troppe voci gli arrivavano all’orecchio dai suoi sottoposti e così nello sfarzo della sua posizione decide di muovere tutto il suo staff (per dirla alla moderna) per andare da Siracusa a Noto, là tra quei monti dove pare viva in una grotta tra la folta vegetazione bagnata da una piccola fiumara, un frate eremita con poteri particolari.

Per farla breve: il Vescovo siracusano - perchè a quel tempo Noto ricadeva sotto a quella diocesi - arriva là per fare una esplorazione di presenza in cerca della verità e visitarne la dimora e ad antrum perrexit (ed entra nell’antro, nella grotta) mentre Corrado è assente, e quindi qual momento migliore per fare un’ispezione proprio a quell’antro e le parole hanno un peso: infatti antro significa letteralmente cavità profonda e oscura nel fianco d'un monte o d'una roccia; grotta, caverna.

Già così rende l’idea di come sia un luogo umile, semplicissimo, quasi inadatto alla vita di un uomo e il Vescovo perlustra la grotta, rapidamente, perchè è una grotta piccola e inospitale e vede che non contiene mobilio (suppellectilis nihil) ed anche niente cibi ne cotti ne crudi pronti da cucinare, insomma in questa speluncam nudam cioè antro scuro quasi pauroso completamente vuoto egli trova solo una zucca per tenervi l’acqua da bere, e vede che non c’è il letto e neanche uno sgabello, ma c’è solo un unico ambiente, completamente vuoto, freddo, scuro e inospitale.

A quel secolo la grotta aveva ancora ovviamente la parete del monte con ricavata la piccola porta e una finestrella per l’aria, diversamente dal poi quando venne costruito circa 250 anni fa il Santuario per inglobarla abbattendo la parete frontale per poter mostrare il resto dell’anfratto così come ancor oggi lo vediamo.

Questa che segue è la testimonianza di quello che il Vescovo trova in quel luogo e già da questa prima impressione si avvede che molto di quello che gli dicevano di questo strano personaggio vivente lì tra la natura impervia, era una esagerazione, infatti come poteva un uomo che faceva una tal vita rozza e solitaria essere un pericolo per la religione?

Perchè noi dobbiamo essere scaltri e leggere in questo fatto della visita vescovile un tentativo di inquisizione, non siate ingenui dal credere che tutto questo apparato si sia messo in movimento così senza un solido motivo: da Siracusa a Noto (Antica ndr) ci voleva un giorno di viaggio a cavallo, con carri e uomini per trasportare ciò che era utile al Vescovo ed anche un manipolo di soldati a protezione, questo era quel mondo medievale che ben gli storici ci han descritto.

Finalmente, leggiamo dal testo, arriva Corrado, e si avvede di tutto questo trambusto intorno alla sua grotta e come si accorge che si trattava del Vescovo, senza indugio gli si getta davanti in ginocchio e gli chiede la benedizione quindi i due iniziano a discorrere, ed immaginiamo delle tante domande che gli sian state rivolte e da come poi si evolve questo momento, si capisce chiaramente che ormai nel Vescovo è caduta ogni reticenza verso questo frate che considera solo un sempliciotto desideroso di vita in solitudine in modo molto povero ma anche però secondo una visione cristiana, difatti il Vescovo nota che come gesto primo, Corrado si era gettato in ginocchio onorando sia la sua persona ma anche ciò che rappresentava: il Pastore del gregge cristiano.

A questo punto, passata qualche ora della mattinata, viene ordinato ai servitori di preparare sul campo un desinare al quale Corrado è invitato, anche perchè, dice ancora il Vescovo, aveva notato che non aveva proprio niente da mangiare di nessun genere e desidera averlo alla sua mensa: Nihil, frater Conrade tu habes in cella... e adesso va prestata molta attenzione al racconto storico, perchè tutta la vicenda che stiamo narrando ha un valore storico e letterale, perché le parole del Vescovo si fanno più pacate, difatti stavolta si rivolge a Corrado parlando non più del suo antro ma della sua cella, cioè camera, cappella, luogo che tutto sommato non è più così desolato visto il buon fine e il buon carattere di colui che l’abita, e la cella è la casa per eccellenza dell’eremita cristiano.

Infatti ben sappiamo che con Guglielmo Buccheri, appena arrivato a Noto, S. Corrado và ad abitare presso le celle che eran al di sotto le mura del castello, le celle sono luoghi semplici ma benedetti e gli abitanti di Noto, sia nobili che popolani, sapevano che chi le abitava eran uomini di fede ed alla ricerca di penitenza e solitudine, uomini religiosi e buoni, da non molestare.

E il Vescovo continua e dice: Io vengo qui da te, di persona (parole che son da intendere: Io il Vescovo, con tutto questo apparato, dovendo affrontare un viaggio e disagi e magari potendo far altro di più utile ndr) e tu non hai nulla da offrire al tuo ospite illustre? - intendendo se stesso, con queste poche parole il Vescovo sta facendo facile ironia verso Corrado: quello che capiamo tra le righe è questo: “Io il tuo Vescovo, nobile e importante, faccio questo viaggio, vengo qui credendo di trovar chissà che ed invece mi ritrovo una speloca vuota e scura, abbandonata tra i monti e la natura selvaggia ed abitata da un poveraccio, umile ma con un’ideale religioso e buono, e che nemmeno può offrirmi qualcosa da metter sotto i denti ne da bere, perchè una misera zucca con poca acqua dentro pende appesa nell’antro!”.

Ma Corrado, uomo semplice ma di rara intelligenza, alacri animo e hilari facie cioè prontamente senza indugio (alacri animo) e di buon umore, mostrando nell’aspetto e negli atti l’interna contentezza (hilari facie) gli dice: Aspetta o signore ad allontanarti! Vedo cosa trovo qui dentro per servirti!

E il racconto adesso non indugia perchè si arriva a risolvere tutto questo fatto del Vescovo scomodato quasi per nulla e si passa a concretizzare tutto quello che fino ad ora abbiamo letto di questo fatto storico: esce (Corrado dalla grotta ndr) con quattro candide e bollenti (appena sfornate ndr) focacce (placentas=focacce) dal gusto buonissimo come è ben testimoniato.

In questo fatto miracoloso e concreto, perchè le focacce calde, bianche e gustose son lì davanti dopo che fin a poco prima quel luogo pareva solo un buio e desolato antro inospitale, c’è tutto quello che è un giudizio della Chiesa stessa, nella persona del Vescovo che è una autorità con diritto di giudizio inappellabile e che viene umanizzato dopo che incontra l’uomo Corrado, discutendo con lui, e infine vivendo un fatto miracoloso in prima persona ma non solo visivamente ma anche concretamente perchè quelle focacce sono mangiate e sono buonissime e servite lì in diretta, senza possibilità di obiezione: il miracolo c’è ed è avvenuto lì, sotto agli occhi increduli di quella gente.

Obstupefactus Episcopus: il Vescovo è sbalordito, stordito e buttato in ginocchio di peso, (in genua provolutus) e stavolta è lui che si piega davanti a quello che fino a poco prima considerava un semplicione devoto, e vede che questo pane viene dal cielo non c’è altro modo, e ne è testimone e anche lo può mangiare e gustare e senza nessuna scusa, mostrando qui il Vescovo onestà ammette che Dio è presente e opera nell’uomo Beato (nel senso di santo ndr) che completamente si affida appunto a Dio Padre, riconosce di fatto la santità di Corrado, in quel momento, da vivo!

Questo fatto storico particolare può essere il paradigma, cioè il modello per poter dire senza pericolo di smentita che San Corrado è uomo di Dio, annullato in ogni suo rapporto col mondo se non come Patrono intercessore e la figura del Vescovo che vede e testimonia quel fatto è già un dato storico della Chiesa che testimonia che l’Eremita della Valle dei Miracoli di Noto è un Santo per davvero, ma di quelli potenti e concreti perchè da quella grotta è uscito pane messo dal Cielo, dalle mani e per mezzo del nostro Patrono.

Panem tanquam de caelo missum reverenter accepit!


 

3 agosto 2021

SUL PO A ENERGIA GREEN

PASSATO A CALENDASCO
IL SOLAR ENERGY BOAT
Salutato dall'attracco del Masero
 
Ecco il LINK per leggere questo articolo su ILPIACENZA
del passaggio sul PO del natante a pannelli solari diretto a Venezia
articolo di Umberto Battini