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26 maggio 2022

ARTICOLARIO 1936

L'ARTICOLO DEDICATO AL BEATO MONS. GIOVAN BATTISTA SCALABRINI

testo basato sull'articolario del 1936 su ILPIACENZA
 

 


22 maggio 2022

PELLEGRINI DI NOTO A CALENDASCO

NEI LUOGHI DI SAN CORRADO
SULLE ORME STORICHE
Visita dei luoghi principali del culto

Una graditissima visita a Calendasco nella domenica della festa di Santa Rita, due netini in pellegrinaggio tra le radici storiche di San Corrado.
Sono tre i monumenti che "parlano" al fedele del Patrono: la chiesa, il castello ed il romitorio-ospitale.
Nella mattina della domenica la visita alla chiesa che contiene il grande quadro di S. Corrado con l'incendio, posto nella sua cappella, poi la statua solenne con accanto il grande Cilio donato nel 2015, l'altro quadro del 1750 ca. con il santo nella grotta netina e il poderoso S. Corrado affrescato nell'abside accanto al Cristo crocifisso.
La visita è proseguita nel Romitorio dove nel 1315 l'Eremita convertito si fece terziario francescano penitente, accolto da frate Aristide. Qui sotto al maestoso portico si può vedere il grande affresco con la Vergine e il Bambinello con S. Corrado in ginocchio, realizzato da Bruno Grassi che è anche il proprietario del monumento e che ha raccontato la storia del convento. E' stata fatta visita anche alla parte più antica, quella longobarda, cioè lo xenodochio (ospitale).
Il castello, ancora chiuso per i lavori di restauro, è stato mostrato ai due ospiti netini nientemeno che dal sindaco in persona Filippo Zangrandi. Nell'antico salone superiore del castello si possono vedere centinaia si stemma della casata dei Confalonieri, dipinti nel cassonato ligneo del soffitto.
I due pellegrini di Noto sono Francesco Berrini (Presidente della Società dei Portatori di S. Corrado) con la moglie Rita e sono stati accompagnati da Umberto Battini, studioso del Santo, che ha tessuto le fila di questa bellissima e gradita visita. 
Noto e Calendasco unite dalla devozione secolare e ricca di riferimenti storici che ci fanno "incontrare" un San Corrado vivo, percorrendo e visitando luoghi che il Patrono abitò durante la sua vita.

 

19 maggio 2022

SAN GERARDO PIACENTINO

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SAN GERARDO DA POTENZA
E LA SUA ORIGINE PIACENTINA
 

A fine maggio viene festeggiato a Potenza dove è Patrono

Il medioevo piacentino, quello più prossimo all’epoca del Concilio di Piacenza delle crociate, ci fa conoscere un concittadino ricordato come “literis ad plene imbutus” (maestro versato nelle lettere), “ex illustri genti de Porta” (della Nobile Famiglia dei Da Porta). Parliamo di San Gerardo Vescovo, Patrono di Potenza il cui “dies natalis” (giorno della morte fisica e nascita al Cielo) è il 30 ottobre 1119, santo originario di Piacenza, come scrive lo storico Campi “Gerardus placentinus, illustri loco natus”. 

La famiglia di discendenza è parte della nobiltà e alcuni membri dei Della Porta qui a Piacenza avevano la carica di Console, nei documenti del “Registrum Magnum” ne rimane buona traccia.
Dal volume storico di don Gerardo Messina “Dal Po al Basento, Pellegrino di Pace” traiamo notizie precise, una Famiglia o Colonia piacentina dei Della Porta era già dal XI secolo residente a Potenza. Addirittura in quel tempo troviamo altri due vescovi originari di Piacenza: Guglielmo Della Porta a Potenza e un altro a Melfi. Per i suoi trascorsi legami con la terra di Puglia il casato dei Della Porta mutò il cognome in Porta-Puglia, mantenendo lo stesso stemma araldico sia in Potenza che a Piacenza.

Si crede che S. Gerardo fosse arrivato là già sacerdote, sulla spinta della famosa riforma del clero di papa Gregorio VII: la lotta contro i sacerdoti concubinarii (che vivevano con una donna), quelli dediti al lucro e al commercio con l’abbandono delle pratiche sacre e dediti alla simonia (il commercio di cariche ecclesiastiche).
Successore immediato di San Gerardo fu il vescovo Manfredi che mise per iscritto la sua vita e lo ricorda come “uomo pacifico, dotto, prodigo con i poveri e dedito all’insegnamento ai giovani”.
Canonizzato per mano di papa Callisto II tra 1123-1124 : “Gerardum civem placentinum episcopum potentinum mortuum in sanctorum numerum retulit”. E’ stato il Campi che era canonico del Duomo di Piacenza a chiedere notizie al Capitolo della Cattedrale di Potenza e così dopo il 1614 riuscì a portare a conoscenza dei piacentini i fatti relativi alla vita santa di questo insigne concittadino.

L’Ufficio della Festa ha riferimenti storici: “Gerardus, Placentiae ex illustri familia De Porta originem duxit.” (Gerardo nacque a Piacenza dall’Illustre famiglia Della Porta).
Quando era vescovo della città fece un miracolo straordinario: trovandosi presso il luogo detto di S. Maria, per la calura estiva le genti soffrivano la sete, venne a mancare il vino, Gerardo si fece portare acqua dalla vicina fonte e con un segno di croce la tramutò in vino: gli fu concesso “Cana Galileae renovare miraculum, et ita suos mirabiliter recreare”. 

Il 30 maggio a Potenza si tiene la Festa della Traslazione delle Reliquie alla Cattedrale avvenuta nel 1250 con una grande processione sacra mentre il giorno prima si svolge la rievocazione storica della “Parata dei Turchi”. Consiste in una nave trainata da uomini in costume, con cavalieri vestiti alla turca, segue il Carro medievale di S. Gerardo e in carrozza siede il Gran Turco con i suoi valletti seguito da alabardieri cristiani: con questo solennissimo evento si ricorda la vittoria sui Turchi avvenuta per intercessione del Santo piacentino.
Episodi di vita storico-religosa che un uomo di Piacenza, circa novecento anni fa, ha lasciato come solida impronta in generazioni di quella terra e così come San Corrado Confalonieri da Calendasco ci ha uniti alla sicula città di Noto anche San Gerardo Della Porta il patrono di Potenza ci lascia in eredità un legame con una lontana regione del territorio italiano.

Umberto Battini

 
 

5 maggio 2022

OSPITALI E PELLEGRINI

UN MIO ARTICOLO
 

 
Quasi non ci facciamo caso: passano con i loro zaini più o meno gonfi delle cose da viaggio, sono i moderni pellegrini francigeni, attraversano lenti e a volte curiosi le strade cittadine e percorrono parte della provincia.

Piacenza nel medioevo era un attrezzato luogo d’ospitalità, soprattutto negli anni cruciali degli ideali di pellegrinaggio cioè tra XI e XIV secolo. Lo storico Campi ci ha lasciato un ottimo elenco di “hospitali” attivi in città e nel territorio. Sono alcune decine e senza dubbio l’elenco non è affatto completo e questo ci fa comprendere come l’accoglienza fosse ben radicata nel territorio piacentino, luogo di transito e crocevia di passo del fiume Po.

Questi ospitali sono fondati da monasteri, dai vescovi locali, nobili e membri di confraternite laiche. Fornivano una ospitalità completamente gratuita cioè vitto e alloggio, ma verso il tardo 1200 si cominciò a far pagare un piccolo obolo ai viaggiatori sani e la causa è legata ai costi di gestione.

Basta ricordare che il pellegrino arrivato al passaggio sul ponte di barche sul Po o al traghettamento doveva pagare qui a Piacenza un soldo: non erano ammessi sconti e in generale si sviluppa anche un’ospitalità in due categorie: gratuita presso chiese, hospitali e ospizi ed a pagamento (commerciale) nelle tante taverne.

La strada che portava verso questi luoghi, soprattutto nel boscoso contado, era indicata da segnavia, proprio come ai nostri giorni e i gestori di ospitali non raramente si occupavano anche di far manutenzione a tratti di strada lì vicino, agli imbarcaderi ed ai ponti. Storicamente è assodato che ad esempio i terziari laici francescani si dedicavano proprio anche a questi lavori da aggiungersi alla gestione dell’ospedale, come è desumibile ad esempio pensando all’ospedale di Calendasco (tappa francigena) guidato da un certo fra Aristide almeno dal 1280.

Il monastero di San Sisto, in città già nell’anno 896, ottiene dall’imperatore Arnolfo il permesso di tenere una fiera annuale vicino al suo xenodochio, che accoglieva i mercanti a pagamento. Così si riusciva a provvedere al mantenimento gratuito dei poveri.

Lo “xenodochio” (luogo per ospitare i forestieri) è quello che in latino sarà poi chiamato “hospitium”, luogo di accoglienza di pellegrini e viaggiatori disagiati bisognosi magari anche di cure. La distinzione è netta: “l’hospitium” è un luogo rispettabile (venerabile si legge nelle carte) poi c’è la “taberna” (taverna, locanda) una semplice capanna di legno e mattoni con alcune camere da letto spartane al piano superiore con accanto una piccola stalla per i cavalli. Infine la “caupona” che è una osteria dozzinale, gestita da un “caupo” cioè un oste o piccolo rivenditore e dove non si offre alloggio.

Infatti leggiamo dalle carte che la “taberna” accoglie l’ospite dietro al pagamento di denari (recipere hospites pro denarios) e coloro che erano disposti a sborsare moneta sonante ricevevano ovviamente anche ottimi servizi.

Il pasto del classico ospizio romeo - sappiamo dalle fonti - consisteva in pane, carne, vino e ovviamente consistenti zuppe di ottimi cereali. In certi luoghi, il pellegrino robusto e sano, durante l’estate, doveva accontentarsi di dormire sotto ad un portico ma non raramente anche per il vitto doveva pagare una piccola somma, viceversa con cattivo tempo o in inverno l’accoglienza era certa tra le mura.

Alcuni ospedali erano riservati prettamente a certi tipi di viaggiatori, ad esempio in quello di Santa Brigida (in piazza Borgo a Piacenza) si dava riparo agli irlandesi, mentre già nel 1180 dato il grande numero di viaggiatori, tra i quali soldati diretti alle Crociate, è eretta la Casa per i Crociati (Domui Cruciatorum de Argine) detto poi ospedale di San Cristoforo all’Argine, vicino al Po e il santo scelto è il protettore di barcaroli, traghettatori e dei pellegrini che dovevano guadare un corso d’acqua.

Come leggiamo dai documenti pubblicati dal Campi, nel 1106 l’ospedale di S. Matteo dava riparo a “peregrini, pauperes et debiles” (pellegrini, poveri e invalidi) e nel 1055 l’hospitale gestito dal monastero di S. Sepolcro presso le mura di Piacenza, dà gratuita accoglienza a numerosi forestieri e pellegrini (xenodochium advenientum peregrinorum).

Tra gli ordini cavallereschi prenderanno la gestione dell’ospedale in città detto di Sant’Egidio i Templari che lì avevano anche chiesa e “domus”, mentre nell’ospedale di San Lazzaro si dava piena cura ai lebbrosi. I frati del Tau presso la chiesa e ospedale di Sant’Antonio a Trebbia “extra muros” curavano con impacchi di morbida sugna di maiale il temuto “fuoco di S. Antonio”.

Quello degli ospedali per pellegrini rimane un argomento molto ricco ed entrare nel dettaglio delle forme di gestione di questi luoghi ci fa scoprire l’indole sociale e religiosa che permeava il tessuto piacentino, coinvolgendo non solo enti monastici ma anche laici e nobili che ne fondarono una buona parte.

L’occasione data dal percorso della Via Francigena che attraversa il territorio e la città resta un forte incentivo a tenere vive queste radici storiche e il tema dell’ospitalità ne è uno dei cardini.

Umberto Battini

4 maggio 2022

HOSPITALI E PELLEGRINI

COME ERANO ACCOLTI
I PELLEGRINI A PIACENZA
NEL MEDIOEVO

articolo da ILPIACENZA.it