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14 dicembre 2014

LA GROTTA NOTO IL SANTO




Articolo apparso a tutta pagina
sul quotidiano di Piacenza LIBERTA’ – 2009
con immagini vale la pena leggerlo!

PELLEGRINAGGIO A SAN CORRADO
Da Calendasco a Noto nel segno della devozion
e

di Umberto Battini

Il mio pellegrinaggio era iniziato con la decisione di caricarmi spiritualmente trovando ospitio a Siracusa presso gli amatissimi frati del Terzo Ordine Regolare,  che vestono l’abito religioso francescano del Santo. Alloggio con orgoglio nel  convento “S. Corrado Confalonieri” che ha vicina anche l’ampia chiesa parrocchiale dedicata al Patrono oltre ai locali di canonica ed oratorio. Mi accoglie padre Antonio Panzica: l’anno prima era stato a Calendasco egli stesso pellegrino a san Corrado. Incontro p. Edwin il Priore, un giovane filippino da anni in Italia, un buon frate con uno spiccato senso dell’ironia: ed io non sarò da meno in questo nel divertirci assieme a fare risibili rimbrotti alla cuoca del convento, una signora non troppo avanti negli anni, con un sorriso immenso e affabile che le genti di Sicilia possiedono naturale. Tre giorni nei quali sono tratto a turno dagli amati frati alla visita alla città
Sabato mattina p. Antonio mi accompagna alla littorina che mi porterà a Noto, un ultimo abbraccio, una foto assieme e lo accomiato in ginocchio chiedendo la sua benedizione.
A Noto, nel caldo tardo pomeriggio mi incammino verso il centro città. Prima tappa la Cattedrale , ricostruita e riaperta due anni fa, dopo il crollo del 1996. Dopo di ringraziamento al Santissimo, chiedo della Cappella di s. Corrado: è qui che il pomeriggio seguente, domenica 9 agosto, avverrà la cerimonia della Discesa dell’Arca e a fine mese l’imponente processione.
Fuori dalla Cattedrale, lungo le due vie che la costeggiano sono la sede dei Portatori di San Corrado e quella dei Portatori dei Cilii. Il cilio è un possente porta cero, lavorato e decorato, che accompagna l’Arca durante le processioni. La dimensione della devozione qui a Noto verso il santo è molto sentita: basti pensare che i Portatori della vara con l’Arca che contiene il corpo del santo sono circa 200 ed altrettanti i Portatori dei Cilii e lungo le vie della città si contano a decine le piccole edicole votive con l’effige o una statua del Patrono. Mi accompagnano subito a visitare il Museo della Cattedrale e di San Corrado posto lì accanto. Grazie al Collegamento Devozionale Italiano, fondato due anni fa  col sito internet dedicato al Santo, cui collaborano soci delle due dette Società di fedeli ed altri devoti inviando testi e fotografie, ho scoperto che la pluri-secolare devozione calendaschese è ormai ben conosciuta a Noto.
La domenica pomeriggio, come l’amico Salvatore mi aveva raccomandato, mi porto alla sede dei Portatori dei Cilii, in vista della Discesa con la s. Messa officiata dal vescovo. Vengo presentato ai soci dirigenti e nella sala ritrovo gli altri Portatori seduti: qui la prima sorpresa emotiva, con una cerimonia il Presidente Salvatore Cutrali, il Vice e dirigenti mi onorano di essere Socio onorario con consegna della loro divisa estiva e della tessera, relativi applausi e  foto di rito, in cui io tutto agghindato con un cilio prestatomi da un giovanissimo portatore e con un sorriso che tocca il cielo.
Salvatore Cutrali, il “mio” Presidente, decide che parteciperò alla cerimonia in prima fila, appena dietro al loro gonfalone, portato con un orgoglio indescrivibile dai due Portatori più anziani, che prima mi avevano accolto come un figlio.
In Cattedrale entrano in processione prima i Portatori di San Corrado, nella loro divisa bianca, preceduti dal gonfalone e subito dopo noi. Il Tempio è gremito di popolo: subito si va a rendere omaggio al Ss.mo Sacramento e poi alla Cappella del Patrono. Intanto nella calca di popolo si alza il saluto gridato dai devoti “E con tuttu lu cori ciamamulo” e tutti – bambini compresi – urlano a squarciagola “Evviva San Currao!” per due volte seguenti, in un seguirsi quasi senza sosta. Segue la s. messa, al termine della quale, quando tra i Portatori di entrambe le Società si scopre essere presente un devoto piacentino e addirittura di Calendasco, tutti mi reclamano per una foto dinnanzi all’Urna e così i anche semplici fedeli della città, ormai sono emozionatissimo.
Ritrovarmi in mezzo a tutti quei fedeli devoti, di tutte le età e generazioni è per me inebriante. Tra l’altro anche in questa occasione ho la gioia di conoscere di persona un altro dei miei “contatti” telefonici, cioè il Portatore del Santo Marco Lucci ed il suo Presidente e già caro amico Michele Faraone.
E’ tutto molto bello, a un certo punto il Presidente Cutrali si presenta con una giornalista di una televisione siciliana e vengo assieme a lui intervistato in diretta: qui mi viene chiesto del Santo nel piacentino e con mia sorpresa anche di Calendasco, che conoscono bene quale luogo delle vicende corradiane. Infine chiedo a Salvatore di riportarmi al mio alloggio ove ho obbligo di esservi prima delle 22. La notte mi passa quasi interamente insonne: due soli giorni e già così carichi di una  intensità emotiva spirituale che andava ben oltre le mie aspettative. Con l’esperienza della veglia alla Grotta Santa si conclude solo fisicamente ma non emotivamente, questo mio abbraccio a San Corrado.
La fatica del viaggio è valsa la pena: quasi millequattrocento chilometri in un vagone-caldaia, sotto al cocente sole agostano, scorrendo letteralmente tutta la penisola. Ma la meta era troppo agognata, troppa la nostalgia di quel luogo e in più avevo il mandato di tutti gli amici devoti che avevo lasciato a casa. Bruno, che nella devozione mi è di encomiabile esempio, al mio tentennamento per l’impresa solitaria mi aveva detto categorico: “Devi andare! San Corrado vuole così. Noi ci saremo per mezzo tuo”. Qualche telefonata e tutto è a posto. Mons. Salvatore Guastella, insigne storico e studioso della Diocesi, mi vuole suo ospite ed a Noto alloggerò presso le monache Benedettine del SS. Sacramento, nel convento di clausura presso la foresteria, al fianco della nuova Casa del Clero.
A Noto ad attendermi, con una grande mercedes nera, il mio amico Salvatore Bertoli, segretario dei Fedeli Portatori dei Cilii; ci conoscevamo solo “via telefono” da quasi quindici anni, finalmente ci incontriamo! Lo abbraccio più volte, non mi sembra vero, Salvatore è un attimo stranito da tutto questo mio affetto. Valigia e zaino in auto e via: prima destinazione il Santuario Fuori le mura sette chilometri lo separano dalla città di Noto, così ha deciso Salvatore, dopo mi accompagnerà al mio alloggio.
Quando arriviamo mi sento frastornato: entro in questo lungo stretto viale ornato da decine di  oleandri in fiore, in fondo ancora un cancello e al di là, davanti a un piccolo spiazzo il Santuario amato, addossato alla nuda roccia!
E’ quasi il mezzogiorno, è terminato un matrimonio. Entriamo e Salvatore mi porta subito dentro alla Grotta Venerata alla destra interna del Tempio. Letteralmente mi getto in ginocchio: turbinano parole, emozioni di pelle, di mente e di cuore! Penso all’amato s. Corrado, lì dentro, assiso a contemplare Dio, a lui che ha lasciato la terra piacentina, Calendasco così fortemente luogo della sua anima umana, la sua famiglia: piango come un bambino, sono felicissimo.
In sacrestia incontro la suora filippina che si occupa del Santuario con il frate conventuale responsabile del luogo, a lui dico del mio pellegrinaggio, che vengo dalla terra piacentina di Calendasco e che era mio desiderio poter passare una notte in veglia nella Grotta del santo.
Non ci sono impedimenti, in uno dei prossimi giorni a mia scelta potrò adempiere a questo mio richiamo dello spirito.
A Noto, nel convento di clausura delle Benedettine  ove avrò dimora stabile, suor Concetta mi assegna una stanza grande e luminosa, addirittura con un balconcino che dà la vista alla valle netina e si affaccia al grande cortile del convento, di pietra gialla, che a sua volta confina con quello delle Carmelitane, capisco che questa stanza è per gli ospiti di riguardo.
L’emozione più forte la vivo a San Corrado di Fuori, ove di buon mattino, mi dirigo a piedi pellegrino: con me solo due pezzi di pane ed un poco d’acqua. Arrivo e trovo la suora al cancello per l’apertura, mi ripresento, le dico del mio intento di restare tutto il giorno e la notte presso l’amato Santuario che racchiude la Grotta venerata. Facciamo subito amicizia, la giovane suora filippina ha subito intuito della mia sincera devozione e mi accorda la sua fiducia lasciandomi campo libero.
Mi assegna una cella nel piano inferiore dell’Eremo del 1751, accetto volentieri e vi pongo le mie poche cose, anche se nel mio intimo ho già deciso che passerò ogni ora della mia presenza lì nel Santuario in adorazione al Santissimo e in ginocchio nella Grotta del Patrono.
Passano le ore, ed intanto vengo “rinchiuso” per la prima volta all’interno del Tempio nella pausa del mezzogiorno e fino alla riapertura pomeridiana. In ginocchio, oppure seduto sulla pietra accanto al luogo che indica sul pavimento della Grotta i segni delle ginocchia del Santo, prego e medito, il tempo sembra essersi fermato, la sensazione che prevale è di sentirmi a casa, di sentirmi in un luogo non solo benedetto ma rigenerante.
Durante la giornata arrivano devoti e pellegrini in visita al luogo Sacro, alcuni giovani addirittura giungono camminando a piedi scalzi, per impetrare grazie e come segno di devozione e lode al Patrono.
Approfitto anche per visitare l’annesso Museo che raccoglie centinaia dei più svariati ex-voto per grazia ricevuta: tantissime sono ad esempio le protesi di arti, mani e gambe ma anche vestiti da sposa e tanti altri oggetti.
Poco dopo le ore 18,30 la suora chiude il Santuario, con forza spranga catenacci e serrature, mi chiede se necessito di qualcosa e poi vedendomi sicuro e sereno se ne torna al suo convento, posto a qualche centinaio di metri più sopra alla valle.
Per mia espressa volontà chiedo che sia lasciata accesa solo la luce che illumina ove sono scavate le orme delle ginocchia di San Corrado, tutte le altre saranno spente. Nonostante filtri ancora dalla finestra ad occhio di pavone della chiesa una tenue luce, mi assale una grande angoscia e paura: mai avevo provato l’esperienza di esser rinchiuso in veglia in un luogo sacro e per di più a me così caro, già di per se gravato di emozioni forti dei giorni appena passati.
Mi faccio coraggio cominciando a cantare l’Inno al Santo, a voce forte e poi altri canti religiosi, mi metto a leggere salmi e preghiere, intanto la mia mente rifletteva: se in quella Grotta il Santo aveva vissuto tanti anni in tutta tranquillità, tanto più ora io non avevo niente da temere essendo addirittura “sprangato” dentro.
Piano piano, mentre dentro al Santuario si fa sempre più buio e la Grotta , con quella sua sola luce accesa, diventa sempre più a me familiare e mistica, rivolgendo di tanto in tanto lo sguardo alla tenue fiammella rossa che veniva dal Sacramento posto nel tabernacolo dell’altare maggiore, una perfetta calma mi avvolge. Inizio a parlare con il Santo ad alta voce: gli chiedo della sua venuta a Noto, della sua vita e di come potè far una simile conversione, abbandonando la terra piacentina, il borgo di Calendasco, parenti e famiglia. Gli chiedo di essere Patrono a me ed a tutti coloro che lo venerano riservandoci protezione e grazie. Mi accorgo che c’è un silenzio grande! Man mano che la notte avanzava mi sentivo sempre più “a casa” e tranquillo; la luce a notte fonda ormai irradiava appena nell’intera grotta ed intorno solo buoi fitto: la grotta con la sua pietra gialla era diventata come un magnifico scrigno denso di una luce ovattata che quasi si poteva toccare, densa.
Durante la veglia della notte, ad un certo punto ho avuto la chiara consapevolezza che lo stile di vita dell’amato san Corrado, era possibile da attuare, che quella vicinanza a Dio non gli era costata troppo sacrificio, ma solo il frutto di una fede immensa, cresciuta e matura.
Penso ai miracoli avvenuti lì dentro: appariva pane caldo, portato dagli angeli! Il vescovo di Siracusa in persona fu testimone del fatto e ne resta testimonianza. Davvero il luogo è Sacro.
Sul fare dell’alba comincio a cedere a un dormiveglia leggero che, ormai alla prima luce vinco e rinvigorito intensifico la mia preghiera conscio che da lì a poche ore sarei dovuto partire da quel luogo desiderato.
Poco prima delle ore 8 sento le serrature aprirsi, è una suora filippina, che a turno si occupa del luogo, ci salutiamo e mi costringe a prendere un caffè nonostante il mio rifiuto. Difatti dopo aver spazzato alcune foglie davanti alla chiesa, la vedo riapparire e mi indica nel lungo corridoio superiore dell’eremo ove sono altre celle, un tavolino preparato con tutta cura con la mia colazione, che consumo per rispetto alla grande delicatezza riservatemi.
Durante queste mie 25 ore ininterrotte di venerazione mi accorgo di aver consumato solo un pezzo di pane e bevuta però buona parte di acqua. Altri impegni mi attendono dagli amici netini, devo ritornare; un ultimo sguardo: con un po’ di magone senza più voltarmi mi incammino.
Qualche ora dopo, a pranzo con i cari sacerdoti mons. Guastella, mons. Guccione Vicario generale, con mons. Bellomia prevosto della Cattedrale e altri mi ritrovo a raccontare della mia veglia: su un punto si è concordi, inconsapevolmente scopro essere il primo piacentino, nei secoli, e per giunta nativo proprio di Calendasco, ad aver  reso un simile omaggio di devozione al Santo Corrado.
E questo forte e amorevole atto verso l’illustre piacentino così tanto amato nella lontana e accogliente Sicilia, l’ho intenzionalmente offerto anche a nome di tutti i devoti della terra piacentina.
Umberto Battini


13 dicembre 2014

3 novembre 2014

29 ottobre 2014

BENVENUTI






















Da circa due anni a Calendasco sono ospitati presso l’Ostello alcuni giovani profughi arrivati in Italia con i famigerati barconi

La Prefettura di Piacenza ha “smistato” anche nel nostro piccolo borgo alcuni profughi.
Un primo gruppo circa due anni fa (una quindicina circa, non ricordo bene) e da qualche mese, ne hanno alternati altri, tutti abbastanza giovani.
Per la maggior parte, ed ovviamente dati i luoghi di loro provenienza, sono di religione musulmana, ma tra loro ci sono anche cristiani.
Diciamolo subito: ogni persona – uomo donna bambino – va accolta e sfamata e fornita del minimo vitale! La dignità è essenziale per tutti e tanto più per chi è in difficoltà.
Serve a farci sentire ancora voluti, amati e persone degne di stare con i propri simili.
Sono, ero e resto per l’accoglienza decisa senza retorica né balle varie. E se per caso c’è qualcosa da emendare in questa faccenda degli sbarchi e dell’accoglienza, caso mai sarà un fatto di politica, ma quella che parte da Roma, dalle strutture governative.
Sono personalmente molto fiero che il paese natio di San Corrado, che ha vagato per circa venti anni pellegrino a Roma, Gerusalemme, Malta  per poi essere accolto dignitosamente dalle genti di Noto in Sicilia, faccia questa accoglienza e guarda caso, proprio da quella Sicilia che accolse il Patrono adesso arrivano a noi questi uomini fuggiti con tremende esperienze, dai loro luoghi natali!
Non so bene quanto realmente siano accetti socialmente dalla stessa mia gente ma se una cosa da dire c’è è che non hanno mai dato alcun problema, ma proprio di nessun genere!
Io da cattolico, da devoto di S. Corrado e da natio di Calendasco sono molto fiero di questo fatto che ci lega in maniera strepitosa – a ben pensarci! – al mondo.
Sono molto legato alla mia terra ed alla mia parrocchia, forse per via degli anni e della esperienza della vita, forse per via della conversione continua che il Patrono mi sprona a fare, fatto sta che a Calendasco c’è posto anche per loro.
Benvenuti!

Umberto Battini




28 settembre 2014

ARTICOLO sul PO

 il mio pezzo sull'escavazione nel PO nel borgo di Calendasco
uscito il 15 settembre 2014


LAVORARE SUL PO
IN LOCALITA' BOSCO
un connubio tra l'uomo e il fiume

di UMBERTO BATTINI


Alle montagne di sabbia, è in questo modo che da generazioni i giovani di questo lembo di bassa padana indicano la cava sul fiume da dove si estraggono inerti quali sabbia e sassi, ma anche questo luogo ha un nome, è la località il Bosco a non molta distanza da Calendasco.
Dall’alto dell’argine si scorgono benissimo il castello dove nacque San Corrado e la chiesa e quando le giornate sono limpide si intravedono senza difficoltà pezzi di Piacenza: il palazzo Farnese, le ciminiere della centrale elettrica ed il grattacielo dei Mille.
Ma quello che colpisce è l’immensità della pianura che dalla sponda del fiume Po si staglia a perdita di vista da est ad ovest verso il nostro appennino.
Se Calendasco è storicamente un paese rivierasco di pescatori professionisti e barcaioli e di agricoltura, qualcosa dell’antico mestiere del renaiolo, cioè di colui che viveva  estraendo la sabbia dal letto del fiume, lo possiamo ancora vedere sebbene trasformato nel tempo grazie dall’uso di mezzi meccanici.
Oggi quindi la sabbia non è più estratta completamente a mano con la fatica d’essere poi sbadilata dalle possenti barche dette magane, per esser portata a riva con delle barelle per poi venire scarriolata e caricata su carri trainati da cavalli. Già dall’ottocento e nella prima metà del novecento una importante famiglia di cavatori e barcaioli furono i fratelli Civardi di Calendasco, che nella antica località sul fiume chiamata Raganella, tenevano le imbarcazioni per la loro attività.
La moderna cava al Bosco venne fondata oltre argine su area demaniale nel 1956 da Renato Rigamondi di Calendasco che con i primi ausili meccanici si serviva per l’estrazione di una turbina posizionata su di un barcone ma dopo qualche anno la cava fu ceduta ad altra proprietà, fino a che nel 1967 i fratelli  Romano e Sandro Vidi iniziarono l’impresa che è stata trasformata in ditta nel 1969.
Come raccontano, in quegli anni la sabbia era prelevata con l’uso di una pompa dragante che era lunga oltre 100 metri e che poggiava su tubi distesi sull’immenso ballottino del Po lì davanti, perché il fiume scorreva appunto più a nord di dove lo si vede ora e quindi per raggiungere l’alveo occorreva tutto questo sistema di tubazioni che in parte rimangono come muti testimoni, in alcune aree del cantiere.
A quel tempo la conformazione dell’alveo era leggermente diversa dall’attuale e proprio da lì iniziava una grande e lunga lanca del fiume che nei decenni le piene hanno completamente riassorbito nell’alveo attuale.
Negli anni settanta questa era anche la spiaggia estiva dei calendaschesi che animavano questo luogo nei fine settimana dove era ancora possibile fare il bagno nelle acque del grande fiume ed anche la pesca risultava molto ricca.
Dall’alto dell’argine maestro il cantiere sembra innestarsi in modo magnifico nel contesto fluviale con le sue montagnole di sabbia e sassi, dove da sempre i bambini si divertono a improbabili scalate e quegli scheletri di ferro sospesi nel vuoto tanto utili nel lavoro e che sono entrati nel contesto paesaggistico comune vanno guardati con curiosità perché vantano una storia di lavoro e vita di fiume che viene da lontano: prima di questi moderni mezzi meccanici meno di un secolo fa qui era solo la forza fisica dell’uomo che permetteva di cavare faticosamente sabbia e ghiaie dal fiume.
Per l’estrazione, da tempo ormai sospesa, si usano grandi barche massicce adattate all’escavazione, dove con la benna di una gru si scarica tutto su lunghissimi nastri trasportatori che a loro volta crivellano l’inerte a più riprese, separando sassi di varie dimensioni e la stessa sabbia.
Ora, essendo da anni sospese le escavazioni dal fiume, la gigantesca nave giace nella sua imponenza di oltre 20 metri in un’area del cantiere; è stata sistemata lì dopo la grande piena del 2000 così che quando il letto del fiume ritornò a regime la nave restò in secca.
Sandro Vidi ci tiene a precisare che la nave Fosca è ancora funzionante anche se ora dismessa, la comprò col fratello nel 1980 dai cantieri navali Sarani di Pavia e segnò una svolta nel lavoro d’estrazione in quanto permetteva di prendere inerte dal fiume in modo molto più agevole delle pompe draganti; nel letto del fiume è ancorata anche la nave per l’estrazione Benvenuta ma non è di loro proprietà.
Nel cantiere costeggiato dal fiume, troneggiano sparsi nell’area, alte strutture ferrose utili al lavoro e cioè grandi vagli rotanti e a vibrazione che selezionano la sabbia mista a ghiaia dove dalla tramoggia viene caricata sui nastri di smistamento finendo ognuno per creare a caduta libera un grande cumulo di sabbia, interessante è ritrovare anche qui un macchinario chiamato mulino che serve a macinare e spaccare un certo tipo di ghiaia.
La lavorazione del materiale porta ad avere questi mucchi selezionati di sabbia fine usata per gli intonaci ed il cosiddetto sabbioncino grezzo oltre a selezionare tre tipi di ghiaia mentre il ghiaione di scarto è accatastato anch’esso da una parte in un grande cumulo.
Anche le piene fanno parte delle insidie e sebbene il cantiere si trovi sopra al letto del fiume di qualche metro le esondazioni da fuori alveo del Po più importanti rimangono quella del 1968 e quelle del 1994 e 2000 che però non hanno mai danneggiato le strutture.
Un altro aspetto curioso è dato dal fatto che negli anni passati, causa la particolare corrente e conformazione del fiume, non raramente agli addetti al cantiere capitò di trovare i poveri resti di gente annegata e come raccontano, era anche un dovere morale ricuperare quei corpi per poterli ritornare alle loro famiglie.
Tra i casi è ancora vivo nella memoria quello di oltre trent’anni fa, quando tre operai intenti a rinforzare la sponda del fiume nella zona del Masero di Calendasco, poco più a monte del cantiere estrattivo, finirono annegati e mentre due dei poveri corpi furono presto ritrovati il terzo riemerse esattamente un mese dopo, durante l’estrazione di materiale dal fiume, spaventando l’addetto che di colpo si ritrovò viso a viso con quel corpo gonfiato dalla permanenza in acqua.
Per chi risiede nel paese la convivenza con questo luogo è diventata quasi famigliare, difatti lungo la sponda sono attaccate alla riva le classiche grigie battelline dei pescatori mentre qualche anziano discorre del fiume. La loro vecchia esperienza di frequentatori del fiume li porta a discutere con una dovizia di particolari sul fluire e sulla velocità delle acque del Po in punti ben precisi e di dove lo stesso fiume sia o meno navigabile e anche sanno della profondità delle acque che dai vari raschi ghiaiosi o da semi sommersi sabbioni loro sanno dedurre.
Il sole qui in estate cade sempre a picco e neanche l’ombra dei pioppi riesce a dar refrigerio mentre l’unico rumore rimane quello dei grilli che fan percepire in modo intenso, il profumo e il fascino di questi ameni ma vitali piccoli luoghi di vita padana che fan parte della storia piacentina del lavoro legato al fiume così amato e a volte anche dimenticato.

Umberto Battini