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28 settembre 2014

ARTICOLO sul PO

 il mio pezzo sull'escavazione nel PO nel borgo di Calendasco
uscito il 15 settembre 2014


LAVORARE SUL PO
IN LOCALITA' BOSCO
un connubio tra l'uomo e il fiume

di UMBERTO BATTINI


Alle montagne di sabbia, è in questo modo che da generazioni i giovani di questo lembo di bassa padana indicano la cava sul fiume da dove si estraggono inerti quali sabbia e sassi, ma anche questo luogo ha un nome, è la località il Bosco a non molta distanza da Calendasco.
Dall’alto dell’argine si scorgono benissimo il castello dove nacque San Corrado e la chiesa e quando le giornate sono limpide si intravedono senza difficoltà pezzi di Piacenza: il palazzo Farnese, le ciminiere della centrale elettrica ed il grattacielo dei Mille.
Ma quello che colpisce è l’immensità della pianura che dalla sponda del fiume Po si staglia a perdita di vista da est ad ovest verso il nostro appennino.
Se Calendasco è storicamente un paese rivierasco di pescatori professionisti e barcaioli e di agricoltura, qualcosa dell’antico mestiere del renaiolo, cioè di colui che viveva  estraendo la sabbia dal letto del fiume, lo possiamo ancora vedere sebbene trasformato nel tempo grazie dall’uso di mezzi meccanici.
Oggi quindi la sabbia non è più estratta completamente a mano con la fatica d’essere poi sbadilata dalle possenti barche dette magane, per esser portata a riva con delle barelle per poi venire scarriolata e caricata su carri trainati da cavalli. Già dall’ottocento e nella prima metà del novecento una importante famiglia di cavatori e barcaioli furono i fratelli Civardi di Calendasco, che nella antica località sul fiume chiamata Raganella, tenevano le imbarcazioni per la loro attività.
La moderna cava al Bosco venne fondata oltre argine su area demaniale nel 1956 da Renato Rigamondi di Calendasco che con i primi ausili meccanici si serviva per l’estrazione di una turbina posizionata su di un barcone ma dopo qualche anno la cava fu ceduta ad altra proprietà, fino a che nel 1967 i fratelli  Romano e Sandro Vidi iniziarono l’impresa che è stata trasformata in ditta nel 1969.
Come raccontano, in quegli anni la sabbia era prelevata con l’uso di una pompa dragante che era lunga oltre 100 metri e che poggiava su tubi distesi sull’immenso ballottino del Po lì davanti, perché il fiume scorreva appunto più a nord di dove lo si vede ora e quindi per raggiungere l’alveo occorreva tutto questo sistema di tubazioni che in parte rimangono come muti testimoni, in alcune aree del cantiere.
A quel tempo la conformazione dell’alveo era leggermente diversa dall’attuale e proprio da lì iniziava una grande e lunga lanca del fiume che nei decenni le piene hanno completamente riassorbito nell’alveo attuale.
Negli anni settanta questa era anche la spiaggia estiva dei calendaschesi che animavano questo luogo nei fine settimana dove era ancora possibile fare il bagno nelle acque del grande fiume ed anche la pesca risultava molto ricca.
Dall’alto dell’argine maestro il cantiere sembra innestarsi in modo magnifico nel contesto fluviale con le sue montagnole di sabbia e sassi, dove da sempre i bambini si divertono a improbabili scalate e quegli scheletri di ferro sospesi nel vuoto tanto utili nel lavoro e che sono entrati nel contesto paesaggistico comune vanno guardati con curiosità perché vantano una storia di lavoro e vita di fiume che viene da lontano: prima di questi moderni mezzi meccanici meno di un secolo fa qui era solo la forza fisica dell’uomo che permetteva di cavare faticosamente sabbia e ghiaie dal fiume.
Per l’estrazione, da tempo ormai sospesa, si usano grandi barche massicce adattate all’escavazione, dove con la benna di una gru si scarica tutto su lunghissimi nastri trasportatori che a loro volta crivellano l’inerte a più riprese, separando sassi di varie dimensioni e la stessa sabbia.
Ora, essendo da anni sospese le escavazioni dal fiume, la gigantesca nave giace nella sua imponenza di oltre 20 metri in un’area del cantiere; è stata sistemata lì dopo la grande piena del 2000 così che quando il letto del fiume ritornò a regime la nave restò in secca.
Sandro Vidi ci tiene a precisare che la nave Fosca è ancora funzionante anche se ora dismessa, la comprò col fratello nel 1980 dai cantieri navali Sarani di Pavia e segnò una svolta nel lavoro d’estrazione in quanto permetteva di prendere inerte dal fiume in modo molto più agevole delle pompe draganti; nel letto del fiume è ancorata anche la nave per l’estrazione Benvenuta ma non è di loro proprietà.
Nel cantiere costeggiato dal fiume, troneggiano sparsi nell’area, alte strutture ferrose utili al lavoro e cioè grandi vagli rotanti e a vibrazione che selezionano la sabbia mista a ghiaia dove dalla tramoggia viene caricata sui nastri di smistamento finendo ognuno per creare a caduta libera un grande cumulo di sabbia, interessante è ritrovare anche qui un macchinario chiamato mulino che serve a macinare e spaccare un certo tipo di ghiaia.
La lavorazione del materiale porta ad avere questi mucchi selezionati di sabbia fine usata per gli intonaci ed il cosiddetto sabbioncino grezzo oltre a selezionare tre tipi di ghiaia mentre il ghiaione di scarto è accatastato anch’esso da una parte in un grande cumulo.
Anche le piene fanno parte delle insidie e sebbene il cantiere si trovi sopra al letto del fiume di qualche metro le esondazioni da fuori alveo del Po più importanti rimangono quella del 1968 e quelle del 1994 e 2000 che però non hanno mai danneggiato le strutture.
Un altro aspetto curioso è dato dal fatto che negli anni passati, causa la particolare corrente e conformazione del fiume, non raramente agli addetti al cantiere capitò di trovare i poveri resti di gente annegata e come raccontano, era anche un dovere morale ricuperare quei corpi per poterli ritornare alle loro famiglie.
Tra i casi è ancora vivo nella memoria quello di oltre trent’anni fa, quando tre operai intenti a rinforzare la sponda del fiume nella zona del Masero di Calendasco, poco più a monte del cantiere estrattivo, finirono annegati e mentre due dei poveri corpi furono presto ritrovati il terzo riemerse esattamente un mese dopo, durante l’estrazione di materiale dal fiume, spaventando l’addetto che di colpo si ritrovò viso a viso con quel corpo gonfiato dalla permanenza in acqua.
Per chi risiede nel paese la convivenza con questo luogo è diventata quasi famigliare, difatti lungo la sponda sono attaccate alla riva le classiche grigie battelline dei pescatori mentre qualche anziano discorre del fiume. La loro vecchia esperienza di frequentatori del fiume li porta a discutere con una dovizia di particolari sul fluire e sulla velocità delle acque del Po in punti ben precisi e di dove lo stesso fiume sia o meno navigabile e anche sanno della profondità delle acque che dai vari raschi ghiaiosi o da semi sommersi sabbioni loro sanno dedurre.
Il sole qui in estate cade sempre a picco e neanche l’ombra dei pioppi riesce a dar refrigerio mentre l’unico rumore rimane quello dei grilli che fan percepire in modo intenso, il profumo e il fascino di questi ameni ma vitali piccoli luoghi di vita padana che fan parte della storia piacentina del lavoro legato al fiume così amato e a volte anche dimenticato.

Umberto Battini