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28 luglio 2022

27 luglio 2022

23 luglio 2022

PO 21 LUGLIO 2022 FOTO

LA GRANDE SECCA DEL PO
nelle fotografie di Umberto Battini
nel mese di luglio 2022
 





 

PORTI SUL PO A CALENDASCO

PORTI NELL'AREA NORD-OVEST
DI PIACENZA TRA LE ANSE DEL PO
IN COMUNE DI CALENDASCO
Una importante rassegna basata su mappe e documenti

di Umberto Battini

Nella mappa del 1800 presa in un dettaglio potete vedere indicati tre porti sul Po in zona Calendasco ma ovviamente le mappe sono tante e antiche alcune secolari e molto dettagliate

Degna di nota fin dal medioevo è la parte d’alveo del Grande Fiume al nord ovest della città che è stata quella più sotto la lente di ingrandimento per accadimenti e anche per successivi studi storici molto precisi e interessanti. Quest’area è quella che tocca i circa 20 chilometri di sponda di Po posta nel comune di Calendasco, praticamente dallo sbocco del fiume Lambro fino allo sbocco del fiume Trebbia, dove il serpentone d’acqua forma due grandi anse.

Conoscendo bene ormai del porto antico di Soprarivo oggi conosciuto come Guado di Sigerico della Via Francigena, del quale tanti han scritto, vedremo di leggere tra le mappe e le carte degli Archivi di Stato conservate a Parma, Piacenza e Milano quali e quanti erano gli altri porticcioli nel restante tratto di alveo in questione. Con l’accordo fatto dal comune di Piacenza con i ferraresi il 5 novembre 1181 per la navigazione sul Po si era deciso che chi attraccava a Soprarivo per “fune navis” dovesse dare come gabella “una libram piperis” una libra di pepe, questo porto col tempo verrà ceduto in fitto ad un privato negli anni del 1400 per poi andare in disuso causa l’ormai decaduto passaggio sulla antica strada romana Placentia-Ticinum (Piacenza-Pavia) che puntando su Calendasco raggiungeva la città, oggi è una ambita tappa francigena.

Restano però in vita e ben attivi altri porti che vediamo segnalati su mappe e carte dei regolamenti ducali nel XVI secolo, poi dello stato Borbonico e Napoleonico, dal successivo Regno d’Italia e fino agli inizi del 1900, insomma lo Stato con l’ente del Demanio per motivi di tassazione censise e regola i porti sul Po tra essi anche questi in territorio di Calendasco.

Nel medioevo il monastero di San Sisto di Piacenza aveva diritti di attracco lungo la sponda destra che andava, per quel che concerne il Po in questione, dal Mezzano fino allo sbocco del Trebbia, mentre l’alveo poco a monte dello sbocco del Lambro che ricadeva verso il Monticelli Piacentino (oggi Pavese) risultava proprietà della Mensa vescovile di Piacenza ed anche al Veratto di Santimento era un attrezzato porto come appare in una precisa mappa del 14 giugno 1749.

Davanti al Mezzano di Calendasco era l’isola dei Germani di proprietà di San Sisto e che rendeva anch’essa un profitto in ottimo legname, questi enormi ballottini (isole nel fiume circondate dalle acque), venivano sfruttati e rivendicati apertamente, ed anche a Piacenza al Bergantino era un ottimo grande porto come indica una chiara mappa del febbraio del 1641.

Una delle mappe che ha fatto la storia del Po, per la sua precisione, rimane quella voluta dai Farnese e fatta tra il 1587 e 1588 da Paolo Bolzoni ingegnere e topografo ducale di chiara fama, conservata in Archivio di Stato di Parma, e insieme alle mappe successive dei secoli a venire si è potuto ricostruire il meandro del Grande Fiume ed i suoi spostamenti riuscendo a capire come si sono create queste due grandi anse al nord-ovest della città.

Ancora nel XVIII secolo possiamo ritrovare su tante mappe il Porto di Cotrebbia (Vecchia per intenderci) che trasversalmente andava a cadere sull’altra sponda tra Valloria ed il Berghente (oggi territorio di Guardamiglio) e tra fine ’800 e l’inizio del 1900 era dato in fitto dallo Stato ad un lodigiano. Guardando nel particolare si vede bene che il porto parte dall'abitato di Cotrebbia e trasversalmente approda davanti all’abitato di Valloria ed una strada dalla riva sabbiosa porta verso il percorso lodigiano. 

Dalla parte di Cotrebbia la strada locale punta su quella che le mappe chiaramente indicano come "Strada de Calendascho", da qui si procede per la città di Piacenza e questa via sbucava dritta dritta in Via Campagna proprio lì ove sorge il santuario mariano.

In altre antiche mappe è evidenziato il percorso trasversale della chiatta tracciando alcuni trattini mentre da carte amministrative sappiamo del costo annuale dell'affitto di gestione di questo porto e di altri, assai importante per questa area soprattutto per spostare carichi di prodotti agricoli sui carri dall'una all'altra sponda del Po.

Circa l'antichità di questo porto sul fiume già nel medioevo ci sono fior fiore di ottimi studi pubblicati nei libri; di fondamentale importanza per aver rilevanti notizie sono ad esempio quelli pubblicati dal Solmi ed anche in anni recenti da storici universitari: davvero la documentazione d'Archivio citata è tanta e chiarissima al riguardo. 

Altro posto di passo del Po molto antico e secolare è il Porto del Botto, che era situato tra la località con cascina agricola Bosco di Calendasco e sulla sponda opposta in territorio lombardo la località Botto. Viene chiamato Porto del Botto per Cavalli cioè qui era una chiatta per guadare il Po molto possente che permetteva di portare da una riva all'altra i carri carichi di prodotti ovviamente trainati da cavalli da tiro.

La posizione è strategica: primo perchè è vicina al borgo di Calendasco e quindi con ottime strade per quel tempo, secondo perchè qui il letto del fiume manteneva sempre un ottimo corso d'acque abbastanza fondo il che permetteva alle chiatte di attraversare anche con carichi pesanti che potevan certamente abbassare il pescaggio ma evitare il pericolo di insabbiamento.

Sempre dal 1800 rimane attivissima la Stazione di Barca per cavalli del Boscone Cusani con chiatta, indicato nelle mappe del demanio appena sopra l’abitato prima della curva di Corte Sant’Andrea in territorio lombardo, ed anche questo ha un regolamento daziario statale ben definito mentre più a monte rimane la Stazione di Barca per cavalli delle Gabbiane, dopo foce Lambro, e più giu ancora quello del Veratto di Santimento; un’area di fiume storicamente molto vivace e vissuta, in modo sintetico portata all’attenzione di chi ancora oggi sente un legame con questo lungo serpentone che si staglia nella valle padana chiamato Eridano, Pado, Po e ricco del mito di Fetonte.

Oggi dalla via Po dinanzi al palazzo del comune di Calendasco una strada rettilinea di circa un chilometro porta all’attracco del Masero, qui è ancora vivo nella memoria il fatto di quando tra fine anni ’60 ed inizi del ’70 i militari di Piacenza del Reggimento Pontieri venivano a porre un grande accampamento d’addestranento al Masero in area demaniale e montavano sul Po il possente bonte di barche; dall’alto dell’argine maestro alcuni militari di guardia non permettevano a nessuno di avvicinare quell’immenso accampamento brulicante di uomini e mezzi ma per i bambini (tra essi anch’io scrivente) questi giovani militari di leva chiudevano un occhio e sotto al loro divertito sorriso, dall’alto dell’argine, seguivamo stupitissimi tutte quelle operazioni e chissà quanto avremmo pagato per poter mettere il nostro piede su quel grande ponte poggiato sul maestoso Po.

Umberto Battini
studioso di storia locale
se copii cita la fonte !

 

22 luglio 2022

PO 21 LUGLIO 2022 VIDEO

ECCO COSA ABBIAMO TROVATO
La grande secca del fiume Po

SAN ROCCO

SAN ROCCO IL FRANCESCANO TERZIARIO
E' un dato storico ma spesso trascurato
 
E' stata una sopresa anche per me, quando anni fa, venni a conoscenza del fatto che S. Rocco sia un penitente terziario francescano.
Come usava storicamente per i terziari, l'attività cui si dedicavano principalmente era la cura dei malati negli ospedali.
San Rocco è stato un "infermiere" pellegrino di ospitio in ospitio. Anche S. Corrado dè Confalonieri è stato frate nell'ospedale francigeno di Calendasco ove era il passaggio del fiume Po.
 
Calendasco vanta un secolare ospitio-conventino di frati terziari di S. Francesco che già dal 1280 era governato da frate Aristide.
A Calendasco, nella località a 1 km dal borgo detta Arena, esisteva già dal 1400 un oratorio dedicato a San Rocco.

Lo testimonia una carta della visita pastorale del vescovo di Piacenza del XVI secolo.
San Rocco venerato contro la peste anche in Calendasco dove sappiamo che furono storicamente aperti dei lazzaretti per coloro che erano colpiti da questo morbo, la testimonianza più recente è quella del 1800 quando il territorio piacentino venne colpito dal colera. 

In un mio articolo del 2012 pubblicato sul quotidiano di Piacenza, ipotizzai anche che S. Rocco e S. Corrado abbiano potuto lavorare insieme forse nell'ospitio di Calendasco.
Stando ad alcuni dati storici - io mi attengo agli studi del 1400 del Diedo - le date possono coincidere con la sosta di San Rocco in terra piacentina e specialmente a Sarmato, ma se teniamo vivo il fatto che S. Rocco era terziario, (Piacenza era terra di tantissimi di questi uomini, basta ricordare il Capitolo tenuto in città nel 1280) non escludiamo possa anche esser passato per l'ospedale dei frati sotto la guida del beato Aristide.

Certamente in Sarmato e a Piacenza nello stupendo oratorio dedicato al Santo della Peste si venera profondamente e farne memoria è importantissimo.

Viva quindi i due "frati terziari" pellegrini: Rocco e Corrado!

Umberto Battini

20 luglio 2022

I CIVARDI DI CALENDASCO

Articolo apparso su ILPIACENZA
 
oppure scorri la pagina e leggi il testo qui sotto 
 
Sulla sponda del Grande Fiume a Piacenza, tra i due ponti, restano i segni di un’archeologia industriale legata alla cava di sabbia. Si tratta di quei resti di piloni che funzionavano con un argano a fune per portare la sabbia dalla draga alla riva.

Con la grande secca anomala del fiume chissà se tra gli affioramenti non visti emerge anche una vecchia e imponente magana: la “Mafalda”, lunga 17 metri e tra le più belle che navigassero sul Po in quegli anni, anche a detta degli anziani. La magana era una barca a fondo piatto che trasportava merci pesanti, spostandosi grazie alla forza dei cavalli che la trainavano da riva.

La drammatica vicenda avvenne nel 1946 proprio al ridosso dei ponti bombardati sul Po di Piacenza e ce la raccontano dal loro “casotto” sulle rive del fiume al Pernice di Calendasco i cugini Cesare e Luigi Civardi. Sono discendenti di una famiglia di barcaioli e traghettatori tra le più abili, stimate e rispettate del secolo scorso, quando dagli inizi del ’900 iniziarono l’attività di trasporto sul Po.

La mattina del fatidico dramma Ettore Civardi, con il padre Cesare, lo zio Angelo e gli altri fratelli, caricarono sulla “Mafalda” a Mortizza ben 250 quintali di cemento in polvere. Per risalire la corrente del fiume si attaccava al traino un cavallo che dall’alzaia sulla riva muoveva il pesante carico. Un lavoro lento, faticoso ma che ancora dava la possibilità di vivere di questo. Oggi è un mestiere quasi scomparso.

Arrivato il pesante carico, presso il traliccio del cantiere di sabbie, l’argano che doveva regolare le funi d’acciaio, per lasciar passare l’imbarcazione, a causa di una svista dell’operatore, le risollevò di colpo. La “Mafalda” venne imbrigliata da queste robuste funi, e sollevata in modo da inabissarne una parte, mentre Ettore era al timone e Giacomo a prua. L’equipaggio si gettò a nuoto nel Po per fortuna senza nessun danno fisico, mentre lentamente con il suo carico pesante, la magana si inabissò. Dalla riva anche gli altri fratelli, che portavano il cavallo da traino, assistettero sbigottiti alla scena.

I Civardi erano tutti uomini di fiume e avevano svolto il servizio di leva a Piacenza nel Genio Pontieri: anche il reggimento piacentino intervenne per dare man forte e recuperare la barca sul fondale. Purtroppo, dato il carico estremo e per il fatto che nei giorni seguenti il fiume andò in piena alzandosi di circa quattro metri, le operazioni furono sospese, e la magana andò ormai persa per sempre.

La “Mafalda” che portava il nome della regina, fu lasciata quindi sul fondale, ricoperta dal suo carico di cemento. Immediata partì da parte dei Civardi la ricostruzione di una nuova magana, leggermente più piccola che venne chiamata “Rondine” e costruita con il rovere che comprarono dagli agricoltori di Calendasco.

La grande “Mafalda”, invece, era stata costruita appena dopo la guerra in loco sul Po, presso l’abitazione dei Civardi a Raganella di Calendasco. Qui erano arrivati da Pieve Porto Morone, in bicicletta, i famosi mastri d’ascia, i fratelli Cobianchi che lì vennero ospitati. Nel giro di poche settimane fu terminata e varata. Racconta Cesare Civardi che lui, ancora bambino, ricorda quando venne benedetta, appena poggiata nel Po, dal parroco di Calendasco don Giuseppe Castiglioni. Il sacerdote disse queste precise parole: “Sempre a galla, mai a fondo!” che purtroppo però si ritorsero come triste presagio.

Tra l’altro raccontano che la grande magana venne costruita con i soldi ricevuti dal Governo italiano dopo la Grande Guerra, il motivo era dovuto al fatto che la loro prima magana era stata requisita durante la guerra del 1915-18 e portata sul fiume Piave.

Dopo la guerra, con i ponti bombardati, Cesare Civardi e Guido ottennero anche la licenza di traghettatori sul Po. Unirono assieme due grandi barconi militari e costruirono i poderosi prismi in cemento armato su cui poggiavano gli approdi e i piloni della carrucola posta di traverso sul fiume, che fungeva da “guida” per il traghetto, che era trainato anche da una piccola barca.

Il traghetto funzionò fino agli inizi degli anni ’60 e l’ultimo a gestirlo fu Guido Civardi che abitava al Pernice: l’attraversamento funzionava dall’alba fino al calare della notte, ed era posizionato nella località Manuella, che oggi si raggiunge da Cotrebbia Nuova.

Con la grande secca del Po sono visibili i grandi prismi d’approdo del traghetto, sia sulla sponda piacentina che lombarda, che restano lì come testimoni muti di un’epoca. Qui, dal loro “casoto” sul Po, Luigi e Cesare ci mostrano anche un oggetto a loro molto caro, dal valore simbolico: un picchetto originale della “Mafalda”, con una poderosa catena per poterla fermare sulla riva, un reperto storico che per loro ha un valore particolarissimo.

Il Po ormai da decenni non è più solcato da barcaioli, traghettatori e pescatori di professione, ci rimangono però delle belle e forti testimonianze di vita. Sembrano racconti lontani, persi nelle acque del Grande Fiume eppure possono ancora essere ascoltati “viva voce” da testimoni sicuri, i Civardi di Calendasco, discendenti di una tra le tante ottime famiglie di barcaioli della terra piacentina, di quel piccolo mondo del quale è importante conservarne il ricordo.

Umberto Battini

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17 luglio 2022

PO LUGLIO 2022

ECCO ALCUNE FOTOGRAFIE
del PO oltre la metà di luglio




6 luglio 2022

GHIACCIO SUL PO

UN ARTICOLO SULLA GELATA DEL 1956


Sopraffatti dal caldo torrido, dall’afa e dalla siccità ormai assodata e incontrollata, andando a spelucchiare nelle notizie del meteo piacentino degli anni ’50 ci si imbatte in un evento strettamente legato al Po. Erano i tempi nel quale il clima funzionava in modo “regolare” e solo pochi e sporadici eventi potevano creare allarme.

Ed è proprio quello che avvenne nel febbraio del 1956 qui nel piacentino, lungo tutta l’asta del Grande Fiume per la causa di una terribile e temibile gelata di quell’inverno che registrò 19 gradi sotto allo zero. 
Si facevano quindi titoloni sul Po che era ghiacciato nei punti “morti” così come anche le tante grandi lanche residuo di acque ferme erano divenute un compatto e lucente lastrone di ghiaccio. Tanti di questi lanconi ricchi di pesce sono del tutto spariti e sono stati assorbiti dal Po con la poderosa piena del 2000 mentre altri, rari, se ne son creati.

La navigazione fluviale in quel febbraio era paralizzata da circa quindici giorni perchè “il Po sospinge a valle ciclopiche lastre di giaccio”. Sospesa la pesca professionale “tra Boscone, Cotrebbia e Calendasco, per non metter a repentaglio la vita e distruggere le reti da pesca”. 
Continuando nella cronaca di quel fatto si scopre che a causa di banchi di notevoli dimensioni di ghiaccio, anche la stabilità dei due ponti di barche sul Po che erano uno a San Nazzaro di Monticelli d’Ongina e l’altro a Boscotosca di Castelsangiovanni era messa a dura prova. 

I lastroni si erano staccati a causa proprio del miglioramento del clima che aveva attenuato le rigide gelate, anche il navigare con battelline leggere era stato sconsigliato, insomma il fiume solcato da questi inusuali pezzi di ghiaccio era un evento particolare ma tutto sommato sopportabile. 
Infatti nella memoria affioravano altri ricordi di simili eventi accaduti negli anni e che i pescatori conservavano nella memoria collettiva: la gelata del Po del febbraio del 1929 era uno di questi, quando si poteva addirittura camminare sul fiume ghiacciato.

La notizia clamorosa poi fu che a Boscone Cusani venne segnalato il passaggio di una lastra di ghiaccio lunga quasi cinquanta metri, che si era staccata da una lanca. Da chi monitorava il fiume dall’argine e dalla sponda fu dato l’allarme e  decine di persone accorsero a Po per vedere questo insolito “iceberg piatto” transitare lentamente.

Un insolito fatto naturale accaduto circa una settantina di anni fa, quando ancora le stagioni si succedevano regolari e il Grande Fiume aveva i suoi cicli naturali con le piene primaverili e autunnali, le piccole magre estive e le sporadiche ghiacciate invernali aiutate da abbondanti nevicate.

Umberto Battini
 

4 luglio 2022

BUFERA E VENTO

VERSO LE ORE 18
DI LUNEDI' 4 LUGLIO
VENTO DA PAURA E ACQUA

Un cielo strano perlomeno per il tipo di nuvole 
Calendasco 




 

 

3 luglio 2022

A PIEDI NEL PO

DA CORTE SANT'ANDREA
FINO AL MASERO DI CALENDASCO
Camminando dentro al letto del fiume Po sulla sponda lombarda
Sono circa 4 km da Corte Sant'Andrea che è sul Po dove il Lambro ha la sua foce fino a Calendasco davanti all'approdo del Masero. Ebbene con questa secca anomala, stando sulla sponda lombarda si cammina dentro al letto del Po per tutto questo tragitto.
Se normalmente l'estate porta il Po a calare, in questo anno la magra delle acque ha veramente sorpassato il limite: la secca si vede e si tocca, dove il fiume prima si stendeva mantenendo un livello di acqua anche minimo di 30 - 50 cm. adesso invece ci si cammina a piedi asciutti!
E l'idrometro al Masero è sotto di oltre 2 metri. Per ora il Po è inconsueto, mai visto prima a questi livelli minimi, da almeno un secolo.
E non va attraversato a piedi: il letto del Po principale è fondo alcuni metri.