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12 agosto 2015

ARTICOLO TRASLAZIONE 2015

Il mio amico - colto e affabilissimo - Carmelo Sciascia siciliano di Piacenza mi ha omaggiato di questo suo ottimo scritto relativo alla XXIII Traslazione dell'Urna di S. Corrado da Calendasco presso la città di Noto fino al Santuario nella Valle dei Miracoli o dei Tre Pizzoni!
Articolo apparso sul quotidiano di Piacenza LIBERTA'.
Mi aveva promesso Carmelo che sarebbe venuto a Noto alla processione e così ha fatto ed anche ci siamo incontrati in quel festoso clima! Io ero là come "Socio Onorario" dei Portatori dei Cilii coccolatissimo da un vero e proprio esercito di fedeli!


articolo dal quotidiano di Piacenza LIBERTA' di mercoledì 5 agosto 2015
la PROCESSIONE si è svolta la domenica 2 agosto 2015 a NOTO




La traslazione di Corrado Confalonieri, un Santo siciliano di Piacenza

di Carmelo Sciascia

“Al mondo abbiamo dato una forma ma non la guardiamo. E non vediamo che gli spazi sono distribuiti malissimo” . Olivo Barbieri, emiliano di Carpi, specializzato in fotografia di ambienti urbani (in questo periodo c’è di lui una mostra al MAXXI a Roma) con questa affermazione non si riferiva di certo a Noto. Città modellata dalla fantasia degli abili scalpellini siciliani (da fine Seicento a tutto il Settecento), il Barbieri si riferiva alle tante città sparse per il mondo, di certo la seicentesca e barocca Noto lo smentisce. Noto è, non una città, ma un palcoscenico rigoroso ed armonico di un teatro in pietra. Lo stesso Olivo Barbieri ha però ragione quando afferma che: “La luce è una cosa meravigliosa che ti permette di capire il mondo senza toccarlo: noi credevamo che fosse la luce divina, la verità”, perché con queste parole, pur pensando ad altro, il fotografo, sembra proprio riferirsi a Noto.
 Dove il calore del sole assorbito durante il giorno colora la pietra che costituisce la materia prima dei maggiori monumenti e chiese, di un rosa intenso e perciò straordinario. In particolare da sottolineare è la luce che emana la facciata della cattedrale di San Nicolò. Quella luce sembra emanazione diretta della divinità che contiene.
 Fu il re Ruggero il Normanno, dopo la presa dell’ ultimo caposaldo musulmano nella Sicilia sud-orientale (1091), che volle dedicarla a S. Nicolò vescovo. Ma la “luce divina” che la fa risplendere e conoscere nel mondo è dovuta, non al vescovo di Mirra, cui è titolata ma al santo piacentino Corrado Confalonieri. All’urna argentea che ne contiene le spoglie.
La Sicilia, terra crudele ed avara per gli autoctoni, diventava spesso terra promessa per gli stranieri, che lì vi hanno fatto fortuna. Calogero è un nome a me caro, così si chiamava mio padre e così si chiama mio figlio. San Calogero nasce in Calcedonia, giunge a capo Lilibeo, insieme a Gregorio e Demetrio. Mentre questi ultimi a Marsala testimoniano col martirio la loro fede, Calogero inizia la sua peregrinazione nell’isola che da Salemi lo porta nell’agrigentino fino a morire da eremita in una grotta sul monte Kronio nel 561 a Sciacca.
Tante le analogie tra i santi, d’altronde ve ne sono tantissime nelle vite dei comuni mortali.
 
Anche Maria Santissima del Monte, statua secentesca attribuita ai Gagini che viene venerata a Racalmuto, si fa per tradizione provenire dall’Africa settentrionale, dove trovata dal principe di Castronovo, venne trattenuta a Racalmuto dal Conte del Carretto (della famiglia di Finale Ligure).
Particolare fortuna ha avuto in Sicilia, a Noto, Corrado Confalonieri. Oggi, domenica 2 agosto, un viaggio nel viaggio, dai monti Sicani dove mi trovo, mi reco a Noto. Dove assisterò alla traslazione delle reliquie di San Corrado. Un evento, religioso ma non solo. Avviene di norma ogni dieci anni o per eventi eccezionali: quest’anno per il Giubileo, indetto dal gesuita Papa Francesco. 


Si è tenuto quest’anno a Calendasco, precisamente il 20 giugno, il VI Convegno Nazionale di studi corradiani. Premessa “sine qua non” del mio pellegrinaggio di questa estate.
Ricorre quest’anno il V centenario dell’indulto di beatificazione del Santo avvenuta proprio a Noto il 1515.
Domenica, 2 agosto. Il giorno precedente è stato caldissimo, un caldo torrido ed umido immobilizzava gli uomini e le cose: “tutto l’universo criato” avrebbe detto Cammilleri sperava in un qualche rifugio di frescura notturna. Alle tre, in piena notte, sarebbe dovuto iniziare l’evento religioso più atteso del luogo.
Noto, ore 2. La piazza della Cattedrale di San Nicolò è già gremita. 

La gente attende. Da una parte si ammira, anche se la si conosce benissimo, la scalinata ed il prospetto della chiesa, dall’altra parte si sbircia il corso nella direzione della Porta Ferdinandea (così detta in onore di Ferdinando di Borbone che la fece erigere nel 1838). È da questa parte che devono arrivare i portatori dei ”cilii”. Questi ceri sono nati come contributo dato dall’aristocrazia locale ai festeggiamenti ed avevano lo scopo di illuminare il percorso della processione che allora attraversava tante vie buie (ad onor del vero, in buona parte anche adesso).
Vestono, i portatori dei cilii, maglie color porpora, nastrini colorati, ed una fascia che serve a sorreggere il peso dei cilli stessi, tra loro riconosco Umberto Battini, “il netino di Calendasco”, infaticabile studioso della vita di Corrado Confalonieri ed animatore di eventi religiosi e culturali. L’età dei portatori dei cilii varia. Alcuni molto piccoli, altri ragazzi e giovani fino ai 18 anni e sono quelli che precederanno la processione, mentre gli adulti affiancheranno l’argenteo reliquario del Santo.


L’urna che contiene le spoglie di San Corrado, è di argento, ha forma di parallelepipedo con ricchi bassorilievi ai lati, sorretta da quattro grifoni che tanto ricordano i bassorilievi assiro-babilonesi.
Attende, l’urna, ai piedi dell’altare maggiore, sotto la maestosa cupola, di essere sollevata dai portatori in divisa con bianche giubbe e grandi medaglioni argentei che fanno parte della confraternita dei portatori.
Noto, ore 3. La piazza esulta. Come se un imponente palcoscenico aprisse il telone, un imponente corteo si dispone a scendere la scalinata della Cattedrale. Ai lati della scalinata due file dei portatori di cilii, nel mezzo una rappresentanza religiosa, clero secolare e frati “francescani poveri” (un istituendo nuovo ordine religioso di giovani, con riconoscimento ufficiale in itinere), al centro l’urna del Santo portata in spalla dalla Confraternita dei portatori nella tipica tenuta, a seguire la banda musicale: i ceri sono accesi, la banda suona, i credenti elevano in preghiera inni religiosi, si parte!
Arrivo previsto al santuario del Santo, che custodisce la grotta scelta da Corrado per il suo eremitaggio di preghiera e di “amicizia” con Dio, fuori città, alle 8 di mattina. Il percorso prevede l’attraversamento della parte alta del centro storico, fino alla frazione di San Corrado di Fuori per scendere infine all’eremo del Santo.


I portatori di cilii, nella componente giovanile, alla testa della processione, spesso invocano il Santo, gridando il suo nome ed alzando la mano libera, mentre l’altra regge sempre il cero. Fanno loro eco le invocazione della Confraternita dei portatori. I cilii sono frutto di un accurato lavoro artigianale, di legno il fusto che imita una grande candela di cera, termina con un contenitore della candela accesa di vera cera, come un fiore, in metallo leggero e traforato. I motivi rappresentati possono essere religiosi, floreali o dei semplici arabeschi.
La loro funzione come è stato detto è quella di illuminare la strada ma anche di omaggiare il Santo con una danza unica e particolarissima. Di tanto in tanto, durante le soste del percorso, i portatori danno luogo ad una corsa, prima a ritmo sostenuto, man mano più veloce, a formare delle ellissi con sovrumana fatica , l’effetto scenico è sorprendente, come la commozione dei fedeli che ne accompagna i movimenti con l’invocazione di: “viva viva San Currao”. 
È uno dei momenti in cui forme di paganesimo si fondono e confondono nella religiosità popolare, come avviene in tutte le feste religiose in Sicilia. Come i grifoni che reggono l’urna del Santo richiamano un’arte medio-orientale precristiana, così le invocazioni dei fedeli ricordano l’invito alla preghiera di altre culture religiose. La Sicilia come metafora di una globalizzazione culturale, vive e rivive, in ogni festa religiosa, il fondersi ed il confondersi dell’elemento della cultura ellenica, romana, islamica ed ispanica che tornano vitali, spesso razionalmente negati , ad imporsi.


L’alba ci raggiunge durante il tragitto, che a volte diventa faticoso per le salite ed il caldo che anche di notte non ci lascia mai, il fondo stradale rilascia lentamente ed inesorabilmente il calore accumulato durante il giorno. Il sole ci sorprende ancor prima di essere arrivati a destinazione.
Finalmente (forse purtroppo) la processione giunge tutta, completa degli insostituibili elementi che l’hanno composta fin dalla partenza, nella spianata della Cava antistante il Santuario. Ed è qui che dopo un’ultima “danza dei cilii” si dà inizio alle funzioni religiose.
Niente di straordinario, in fondo è stata solo la traslazione di un Santo, una manifestazione religiosa che avviene ogni dieci anni e che è durata tutta una notte: la notte del 2 agosto dell’anno 2015.

Carmelo Sciascia