Se c’è un personaggio medievale piacentino che potrebbe essere “eletto” quale simbolo “Francigeno d’eccellenza”, questo è fuor di dubbio Corrado Confalonieri. Il santo meriterebbe d’essere proprio il logo rappresentativo della via Francigena locale, di tutto il territorio di Piacenza solcato dalla strada medievale, un perfetto Pellegrino del Po.
Un piacentino importante, come lo è stata la sua famiglia: dal poderoso castello di Calendasco sul fiume Po dove nacque nel 1290, dopo gli eventi della sua dannazione delle memorie causa l’incendio della caccia, stupidamente appiccato nel 1315, si ritrova a doversi fare “penitente francescano”, nell’ospitale del “gorgolare”.
È storicamente un pellegrino d’eccellenza, difatti verso il 1323 partito dall’ospitale di Calendasco, calpestò tutta la Via Francigena, fino a Roma e poi ancora nel tratto che porta a Brindisi, da lì imbarcato per Gerusalemme.
Arriva a Noto in Sicilia nel 1343 dopo una sosta a Malta, dove venne cacciato miseramente, e sbarcato a Messina cammina fino alla “Ingegnosa Noto” dove, leggiamo dalla sua agiografia più antica (datata alla fine del 1300) si dice che “a Noto erano le migliori genti” e così è la solida generosa accoglienza riservata al frate Corrado dal quel primo giorno tra i netini.
Ma sul groppone del santo eremita piacentino c’è anche tutta la faccenda della sua santificazione: appena morto, come si usava in quel medievo, il vescovo locale poteva “far santo” un personaggio locale acclamato a furore di popolo. Questo fu il suo caso.
Il terremoto di Sicilia del 1693 ha spazzato via buona parte dei palazzi storici, degli archivi dei conventi, chiese e notai ma per fortuna rimane intatta la pratica antica del 1485: si dà il via da Noto ad un “processo per canonizzazione” con testimoni di eventi miracolosi relativi a San Corrado.
Altri membri della stessa casata “slegati” da questo evento rimasero tranquilli a vivere nel Piacentino ed anzi, quando tutto tornò nel silenzio cercarono d’appropriarsi addirittura della nascita del santo nel loro ramo di discendenza, per darsi vanto.
Immaginiamo quando a Roma arrivò sul tavolo del papa la “pratica” San Corrado ma con cognome Confalonieri! Tutto fermo, a Piacenza e soprattutto a Calendasco, luogo d’abitazione di uno dei carnefici di suo figlio: il culto di San Corrado era stato approvato per essere diffuso solo in tutta la Sicilia e così doveva restare cioè un culto “rinchiuso” sull’isola.
Le cose tornano a posto il 9 agosto del 1617: è il vescovo di Piacenza mons. Claudio Rangoni che dà una scossa forte e decisa al recupero del culto, infatti “approva, decreta e firma” ciò che è scritto nero su bianco nel notarile di curia “Legato Sancti Conradi”.
Traducendo dal latino il documento, che si conserva in una imbreviatura originale in Archivio di Stato a Piacenza, così si legge: ”...i Confalonieri furono per diversi secoli feudatari abitanti di Calendasco... circa S. Corrado come è appurato dalle cose fatte sapere della sua vita pubblica, certamente la maggiore devozione è da promuovere e deve essere stimolata nella predetta Chiesa di Calendasco, il medesimo luogo dal quale questo Santo, come appurato, ha tratto la sua origine terrena”.
Chiarissimo e inoppugnabile, un documento di curia a Piacenza, per mano notarile e qualche anno dopo, anche papa Urbano VIII darà un bel colpo alla risoluzione “della santità” circa San Corrado.
Infatti in una bolla da lui emessa e firmata il 12 settembre del 1625, concede ai francescani (nel cui santorale ricade il santo) di poter fare culto “in tutto il mondo a San Corrado” (lo chiama proprio così). Inoltre il papa precisa che "qualsiasi scomunica" ed altra pena relativa al fatto che si venerava Corrado come santo, quando invece era solo beato, è completamente tolta, anche quelle dei suoi predecessori, senza possibilità di ricorso e quindi concede di tornare a venerarlo quale Santo, come infatti si faceva a Noto da secoli da quel 19 febbraio 1351.
Su questo uomo medievale della terra piacentina, che ha unito Calendasco con la città di Noto, dove un santuario ne racchiude la grotta della sua vita eremitica fino alla morte, molto ci sarebbe da scrivere. La cosa notevole è che c’è tanta documentazione, conosciuta ed inedita, e quando nel 1610 i Giurati di Noto scrissero ai reggenti di Piacenza, specificarono che sapevano bene che il santo era proprietario feudatario del castello di Calendasco, cosa non di poco conto.
Nuovo e ricco materiale d’archivio è emerso da pochi anni, già sotto la lente di studio e di confronto, per arrivare a mettere ancor più luce sul santo Corrado Confalonieri da Calendasco, penitente, pellegrino e poi eremita.