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23 giugno 2013
19 giugno 2013
STORIA da RICORDARE
L’ospitale longobardo di Calendasco
Nel 1200 ospitio francigeno gestito
da romiti penitenti
di Umberto Battini
Lungo l’asse del Po, a soli 8 km
dalla città di Piacenza al nord-ovest vi è il piccolo borgo padano di
Calendasco (Kalendasco nelle carte longobarde). Oggi in questo luogo da ormai
oltre un decennio vi è il porto francigeno per eccellenza cioè quello indicato
da Sigerico che da qui transpadò verso Corte Sant’Andrea. In antiche carte del
1153 fino ad arrivare al 1184 ed oltre appare citata in capite burgi calendaschi la
strata romea.
Nel piccolo borgo divenuto nei secoli
a passare un luogo contadino si conservano alla nostra vista 4 insigni
monumenti: il piccolo eremitorio-ospitio, il castello del XIII secolo, il più
antico ricetto del sec XII e ovviamente la chiesa della quale possediamo carte
longobarde del VIII sec.
Questa volta presentiamo ai lettori
una breve storia del romitorio perché fu da qui che prese avvio la conversione
di San Corrado Confalonieri che fu penitente terziario poi pellegrino ed
eremita del Terz’Ordine di San Francesco.
Nella parte più antica del conventino
ospedale francigeno conserviamo la parte longobarda con un pozzo a camicia in
cotto.
Nel 1200 era retto da una piccola
comunità di terziari o penitenti quelli per l’appunto nati da S. Francesco e
poi ben regolarizzati con la bolla del 1289 Supra Montem.
Nel 1280 reggeva il luogo il p.
Aristide che qualche documento dà per Beato.
Fu lui che nel 1290 andò a Montefalco
a costruire il convento di quella che divenne S. Chiara di Montefalco! Finito
quel cantiere ritornò in Calendasco (questa storia è attestata addirittura da
un antico storico montefalchese) e di questo noi abitanti del luogo andiamo
fieri.
Ma lo stesso S. Corrado Confalonieri,
nato nel 1290 nel castello del paese del quale la famiglia fu feudataria per
oltre due secoli, è parte storica del piccolo convento-ospedaletto.
Difatti dopo l’incendio che causò nel
1315 fu da p. Aristide qui accolto e ci visse
circa dieci anni partendo poi pellegrino verso Gerusalemme e fermandosi poi a
vivere da eremita in una nuda grotta tra i monti della Valle di Noto in
Sicilia!
Ma questa come detto è un’altra
storia che vi proporrò a tempo debito.
Il romitorio-ospitio di Calendasco
aveva una bella dimensione, se pensiamo che la sala capitolare è tutto sommato
di notevole grandezza.
La piccola primitiva chiesetta
annessa sorge lungo l’asse stradale, una mappa del 1500 conservata in archivio
di Stato a Parma ci mostra il paese con la chiesa, il castello ed il convento-ospitio
fornito di un apprezzabile campanile.
Appena sotto il portico si mostrano
le tante piccole porticine che davano alle varie camere della foresteria mentre
la parte conventuale ha una bella scala in cotto che sale due piani con le
stesse caratteristiche che potete aver notato nei piccoli eremitori francescani
umbri.
Possediamo documenti di vari secoli
dell’edificio che veniva usato nel 1600 quale luogo di aggregazione della
popolazione per riunirvisi previo campana
pulsata.
Molti atti notarili del paese sono
redatti proprio qui, perché il luogo aveva anche un carattere morale, e quindi
il notaio rogava in hospitio dicti loci
calendaschi a volte subtus portichii
altre voltre in camera superiora.
Anche gli storici del Terzo Ordine Regolare di S. Francesco della Curia
Generalizia di Roma nei secoli hanno scritto di questo posto che dicono essere
uno tra i più importanti, ricordando che nel 1280 proprio a Piacenza si tenne
un Capitolo di Penitenti (fratres de
penitentia nuncupati).
Questo luogo nel 1300 era appellato
“del gorgolare” perché a circa 100 metri vi era un mulino (oggi ancora
esistente ma chiuso) le cui acque del rivo macinatore di Calendasco facendo una
curva a gomito proprio davanti al conventino creavano quindi quel perenne
rumore delle acque detto gorgogliare.
In questi anni recenti il luogo è
stato sapientemente restaurato in ogni parte dal proprietario – devotissimo al
pari mio! Di San Corrado! – e sotto al grande porticato d’ingresso abbiamo
potuto svolgere i primi due (di cinque) convegni di studi nazionali in onore di
S. Corrado, orgoglio di Calendasco! In effetti noi ci vantiamo non solo di
avergli dato i natali fisici nel castello ma anche quelli “spirituali” nel
romitorio dei penitenti.
In breve eccovi dunque una sintesi
storica del nostro monumento insigne che oggi viene custodito con amore e,
posso aggiungere, anche con “venerazione”.
Umberto Battini
17 giugno 2013
PO PIACENZA PONTE
Nell’anno 1394
Acqua acqua acqua, a Piacenza non
manca mai
Una straordinaria inondazione del
fiume PO
di Umberto Battini
Settembre porta pioggie, ma il bello
è che era piovuto a dismisura più su nel lontano Piemonte.
La piena stavolta arriva aspettata e
temuta, tutti a Piacenza e nel suburbio più prossimo alle sponde lo sanno bene!
Quante volte dopo giornate di pioggia, i poveri contadini hanno aspettato
quelle masse d’acque che si dilatavano sui loro campi coltivi.
Stavolta era peggio.
L’amato PO ruppe gli argini e dove
non li spezzò li soverchiò ed anche le chiuse delle ripe non resistettero. Uno
spazio immenso di terreno rimane allagato.
Non contento del danno, stavolta
l’amato PO mostra il suo braccio di ferro e riesce a rompere ben diciassette
travate del ponte che era piantato davanti alla città di Piacenza.
Si formò una specie di nuovo alveo
nel bel mezzo di terre colte e fruttifere ed il danno era inestimabile sia per
il pubblico che per il privato.
Passarono i giorni, tanti e forse
troppi, e finalmente tutto tornò nella norma.
Anche questa volta era andata… ma
quel settembre era solo il preludio inaspettato del lungo autunno anch’esso
presago di nubi, di acque e di fango.
Umberto Battini
elaborazione da notizia cronografica storica
15 giugno 2013
1152 ACCADDE CHE...
PIACENZA 1152
addì 13 luglio
IL BOLIDE
di Umberto
Battini
Le possenti mura cittadine erano una
benedizione per i piacentini, in special modo quelle poste d’intorno alla città
dal lato del nord-ovest ovvero ove è la strada che giunge da Calendasco ai
prati di campagna. Lì è la prima propaggine cittadina e c’è in bella mostra la
chiesa di S. Maria di Campagna e non lungi quella di Santa Vittoria.
Luglio è un mese particolarmente
afoso e caldo da queste parti. Anche la notte è tremendamente cocente e
l’umidità non ti dà tregua se non in sul far dell’alba ma proprio per poche
ore.
Il Po scorre a poco meno d’un
chilometro da quel luogo e forse è anche per questo che c’è chi crede che la
forte umidità e le zanzare a nugoli siano anche colpa del fiume.
Appena dopo il pranzo il sole è al
picco ed il calore diventa insopportabile, così i poveri contadini non han da
trovar rifugio che al ridosso di quelle grandi mura di mattone al cospetto di
una livida ombra refrigerante per quel che può.
Ma ecco che dal cielo appare
all’improvviso alla loro vista una colonna di fuoco, che abbassatasi verso
terra e raggiratesi intorno a quelle mura della città, consumò tutto quanto le
si parava dinnanzi, andando a far rovina della torre di S. Maria di Campagna e
poi il tetto della chiesa di Santa Vittoria ed anche qualche casupola.
Dopo questo vorticoso danno andò
finalmente con veloce e tortuoso giro a perdersi nelle acque del Po.
Ammutoliti assistono gli uomini proni
a quell’ombra e quasi increduli s’alzano e fuggono attorno e si dan da fare per
aiutare del riparare quei danni.
Siamo nel 1152 e a Piacenza c’è ben altro
cui prestar orecchio, infatti con la morte di Corrado III era succeduto al
regno di Germania il Barbarossa che con possente esercito se ne partì per
l’Italia. Per i piacentini sono tempi di rivolta e di guerra, una colonna di
fuoco non è che mesto presagio ed ancora una volta è il poderoso fiume a
smorzare quel turbine pestifero. “Siano benedette le acque del Po!” vocifera la
gente mentre la calura non dà tregua a nessuno.
Il fenomeno delle palle di fuoco già
nell’800 lo classificavano nella classe dei Bolidi ed è dovuto a scariche
elettriche.
Umberto Battini
Racconto ideato su di una reale
notizia storica piacentina
12 giugno 2013
METEORA del 1651
Una meteora! Nel cielo… sopra la città!
PIACENZA e
LA FINTA FINE DEL MONDO
di Umberto
Battini
Anno del Signore 1651, a Piacenza è
stata una fredda giornata. Febbraio è un mese che non perdona da queste parti
ed era appena iniziato. Consolava che un piccolo sole avesse illuminato le poche
ore della giornata invernale.
Viene la sera. Gli stallieri e i
mungitori hanno il duro compito di lavorare anche nella notte, quella fonda!
Sono quasi le due d’una serena,
fredda e buia notte piacentina del 3 febbraio.
Sopra al cielo della città e sulla
campagna da verso mezzogiorno arriva un bagliore e un sibilo.
E’ un attimo: lo sguardo in alto
rivolto al cielo, a quello strano oggetto infuocato; ti viene da pensare alla
fine del mondo quella che il tuo prete molto spesso ti racconta quando sei in
chiesa.
Un boato sordo come voce d’orco e un
bagliore veloce come il fulmine che per pochi attimi illumina le sagome dei
tuguri, delle case e delle lontane cascine.
Quella sfera infuocata centra il Po,
è lui che ancora una volta salva da una possibile tragedia, è il grande Po che
come calamita chiama a sé quel mostro di fuoco.
E quel boato sordo ha svegliato tante
genti, piccole fiammelle appaiono alle finestre delle case e qualche voce
chiama e chiede notizie.
Al mattino si corre al Po, qualcuno
lo ha già fatto nella notte. I Dottori di Piacenza dicono che era una meteora,
qualcosa che viene dal cielo e che non centra con la fine del mondo… ma il
prete ha già suonato le campane e stavolta anche gli uomini corrono alla
preghiera… meglio prevenire!
Umberto Battini
Questo racconto l’ho elaborato sulla
notizia vera degli storici di Piacenza quali il Poggiali ed il Boselli
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