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26 febbraio 2022
IL PORTO DI COTREBBIA
LA PUNTAZZA DEL PO
Un reperto importante è stato ritrovato, durante una quotidiana passeggiata da due amanti del Grande Fiume, lungo l’immenso sabbione che si trova davanti alla foce del fiume Lambro a Boscone Cusani di Calendasco, tra le località lombarde di Corte Sant’Andrea e poco più a monte Le Gabbiane. Si tratta di un reperto databile perlomeno al tardo 1800, quando proprio davanti alle Gabbiane (località che fu per secoli territorio della mensa vescovile di Piacenza) ancora era attivissimo un traghetto sul Po indicato da mappe, e per questo è ipotizzabile che il manufatto sia stato proprio “mosso” dal letto del fiume in quella zona durante una piena.
Si tratta di un manufatto particolare: una puntazza da palo di ponte di barche detta anche bricola, ancora oggi in uso nel Polesine e nella laguna veneta, ricavata da un unico tronco di rovere della lunghezza di circa un metro e mezzo e del diametro di 70 centimetri con uno spuntone troncato della parte di palo che emergeva. Il curioso legno di forma conica è stato mostrato ai “vecchi” uomini di fiume della Bassa, tra Boretto e Guastalla ed anche del Polesine, i quali hanno individuato immediatamente di che tipo di manufatto si trattasse.
Queste puntazze si ricavavano da un tronco intero di legno forte
perché, anche se piantate nell’acqua, non marcivano ed anzi col tempo si
ricoprivano di una patina scura che le rendeva ancor più solide; nel
Polesine ne sono state ritrovate anche di antichissime, allo stato
fossile e pietrificate. Si vede bene, dal moncone rimasto attaccato, che
quello ritrovato oggi è stato strappato dalle piene del Po. Questo
pezzo è una testimonianza del lavoro umano legato al fiume.
Un reperto storico che meriterebbe d’essere recuperato prima che una
piena lo porti via, e che andrebbe conservato proprio qui, in questo
territorio di Calendasco che nei secoli passati è stato protagonista sul
Po con i suoi tanti pescatori e navaroli di professione ben conosciuti e
stimati nella vicina Piacenza.
Umberto Battini
22 febbraio 2022
SCOPERTO A PO
Il reperto, databile al 19esimo secolo, è stato scoperto per caso lungo i sabbioni vicino a Calendasco
21 febbraio 2022
LOISI CONFALONIER 1547
Pierluigi Farnese in un ritratto del Tiziano e il castello dei Confalonieri a Calendasco |
20 febbraio 2022
PATRONALE 2022 LE FOTO
19 febbraio 2022
ARTICOLO 19 FEBBRAIO 2022
La prima dannazione perpetua, che avrà poi dei risvolti storici sulla sua stessa vita pubblica e poi da convertito come penitente tra i francescani, la ottiene verso l’anno 1315. Siamo in pieno medioevo quando la terra piacentina era diventata dominio milanese e sottoposta al duro governo di Galeazzo Visconti, ghibellino temibile e nemico giurato di guelfi e papalini.
A dargli però la damnatio sarà la sua stessa famiglia di appartenenza: i Confalonieri, guelfi e militi del vescovo locale, che erano a capo delle truppe come capitani e portatori del confalone della chiesa con privilegi ed esenzioni notevoli. Una casata molto prolifica, divisa tra la città di Piacenza e le due vallate, quella del Val Chero e l’altra della Val Tidone. Spicca tra la documentazione medievale il feudo di Calendasco e del suo maniero, che i Confalonieri abitarono per circa tre secoli e che dava al più anziano il titolo di capitano del castello, come ben mostrano le carte.
Non era raro che un nobile caduto in disgrazia fosse depennato dalla famiglia, i libri storici ne son pieni, e anche a San Corrado toccò questo sfregio umiliante: dovuto all’incendio che causò durante una battuta di caccia nei dintorni del feudo di Calendasco, dove nacque nel 1290.
Per stanare la selvaggina tra i rovi e la boscaglia fa appiccare piccoli fuochi che però, data la stagione calda in breve tempo vanno a carbonizzare campi di frumento, boschi e qualche piccola cascina agricola comprese le stalle con gli animali. Un danno economico ingente, siamo nel 1315.
Gli sgherri inviati dal Visconti catturano un contadino e lo portano in città perché sia condannato alla forca e così Corrado preso dal rimorso, corre a Piacenza e fa pubblica ammenda: il fatto di esser un nobile gli salva la vita, però deve risarcire tutto il danno.
Tocca ai suoi famigliari raccoglier la somma e liquidare Corrado che così può far fede a questa ammenda, ma si ritrova povero di tutto, denigrato, abbandonato e cancellato dalla memoria dei Confalonieri. Si fa penitente terziario francescano nel piccolo ospitale, poco discosto dal borgo, dove dopo circa dieci anni partirà per la Sicilia, arrivando a Noto, dove ha vissuto da eremita in santità mentre la consorte diventava monaca tra le clarisse di Piacenza.
La seconda damnatio, ancor più feroce, viene procurata alla memoria di Corrado quando ormai è santo per la Chiesa, ma ancora il suo culto deve esser divulgato fuori dalla Sicilia. La cancellazione della sua memoria tra i santi piacentini durerà fino al primo 1600 e sarà voluta dai Farnese ed anche da papa Paolo III Farnese.
Ecco come questa mannaia si ritorce sul culto di San Corrado: nel 1547 i quattro congiurati di Piacenza, cioè i nobili Pallavicino, Landi, Anguissola e Confalonieri uccidono a Piacenza, il Duca Pierluigi Farnese, figlio di papa Paolo III. Dagli atti della confisca farnesiana che poi si abbatte su questi casati, sappiamo che Giovanluigi Confalonieri, congiurato, era partito per il fatto di sangue dal castello di Calendasco dove viveva come feudatario e milite vescovile.
I Farnese da quel 10 settembre 1547, data dell’uccisione, impiegheranno ben quasi quarant’anni per giungere alla vendetta contro il Confalonieri di Calendasco che, finalmente per loro, nel 1590 se ne parte con la famiglia e va esule a Milano. Dove però Giovanluigi è accolto con grandissimi onori, ma questa è un’altra storia.
Ovviamente i Farnese non permisero che il culto di San Corrado, vanto della casata Confalonieri, fosse divulgato nel Piacentino: si dovranno attendere le lettere scritte da Noto nel 1610 dai Giurati netini per aver più precise informazioni circa il santo. Una lettera al Duca Farnese (che se ne lava le mani) una ai Giurati di Piacenza (che faranno una piccola ma accurata e fruttuosa indagine) e una al Vescovo che farà conoscere della nascita del santo di Calendasco.
Con il trasferimento del ramo dei Confalonieri di Calendasco e Val Tidone a Milano, i Confalonieri rimasti dell’altro ramo di discendenza, che manterranno ottimi rapporti con i Farnese, non metteranno mai il becco in questa questione.
Grazie comunque al Confalonieri più anziano, Luigi, si riesce a far breccia nella damnatio farnesiana e si costruisce nel 1613 una cappella al Santo con affreschi in cattedrale a Piacenza, come culto devozionale. Mentre a Calendasco e si badi bene, solo lì, verrà concesso il Patronato e dal 1617 con il Legato Sancti Conradi sarà eretta un cappella dedicata. L’atto redatto in curia vescovile in città è approvato e firmato dal vescovo mons. Claudio Rangoni, che anche fa scrivere dal notaio che “dopo accurata indagine sulla vita da laico di San Corrado si è giunti alla conclusione che nello stesso luogo di Calendasco il santo ha tratto la sua origine terrena e che da anni ormai sempre lì gli abitanti gli tributavano un culto speciale”.
In poche parole possiamo dedurre che a Calendasco, feudo Confalonieri per circa trecento anni, qualche anno prima di questi fatti del 1600, si sapesse della raggiunta santità di Corrado nato nel castello nel 1290, riapparso degnamente dalle nebbie delle due dannazioni della memoria e che riecheggiano nel quadro seicentesco della chiesa e nello stemma Confalonieri che a centinaia ancora resta dipinto sul cassonato del salone superiore del maniero.
San Corrado visse come eremita in una grotta nella Valle dei Tre Pizzoni in quel di Noto e lì morì il 19 febbraio del 1351. Il suo miracolo maggiore è la comparsa “dal nulla nella grotta di roccia” di piccole pagnotte calde che donava ai visitatori attoniti. Il suo ricordo è vivo ovviamente a Calendasco dove è patrono da oltre quattro secoli e dove si venerano due reliquie insigni donate addirittura dai vescovi di Noto nel 1907 e nel 1927.
Umberto Battini
13 febbraio 2022
10 febbraio 2022
LETTERA DA ENRICO CONFALONIERI
Enrico Confalonieri discendente della casata del ramo Val Tidone di Piacenza (quello di San Corrado e dei famigliari di Calendasco come da atti archivio) e ha inviato un suo saluto per questo anno in occasione di San Corrado perché causa Covid non verrà in Italia. Solitamente è presente a Calendasco (città natale di Corrado Confalonieri) ogni anno, così come a Roma con i Netini per festeggiare il Santo Patrono con l’Associazione Netini di Roma.
“Dalla provincia di Calendasco della nostra amata Piacenza che ha acceso la luce della vita del nostro Patrono, alla cittá di Noto della bella Sicilia che ha visto spegnersi la luce. Dall’´imponente castello di Calendasco all´umile eremo della valle del Pizzone. Dalla semplice Chiesa di Santa Maria Assunta di Calendasco, alla maestosa cattedrale di Noto, che celebrino e facciano sentire la gioia trattenuta in tutto questo tempo! Si facciano sentire forte la gola cantare l´inno a San Corrado perché sappia che lo amiamo e che continueremo ad amarlo per tutte le grazie concesse e per essere sempre con noi proteggendoci !
Non importa dove siamo, Corrado é sempre con noi e ascolta quando gli parliamo, perché le nostre preghiere sono un dialogo con lui. Manteniamo viva la fede e l´amore e ringraziamo il Signore per averci dato la grazie di avere il nostro Santo Patrono. Con tutto il mio affetto ai Signori Portatori dell´Arca, ai Signori Portatori dei Cili ed a tutti i devoti Piacentini e Netini e da tutto il mondo!”.
da NOTONEWS
IL PO IN SECCA INVERNALE
8 febbraio 2022
L'USURAIO DI PIACENZA
L’usuraio che provocò la ribellione dei piacentini contro il clero
Nel 1478 morì Francesco Pezzancheri: gli omaggi della Chiesa alla sua scomparsa non piacquero al popolo piacentino, che subiva le sue ritorsioni. La protesta sfociò in alcuni episodi raccapriccianti.
E' un fatto reale e ben documentato, che ha il suo epilogo davanti alla chiesa di San Pietro a Piacenza e che ci mostra come il clero e il potere del tempo chiudesse gli occhi davanti ai peggiori uomini, per il fatto che traevano beneficio. Però stavolta dovettero restare zitti ed impotenti davanti alla ribellione della gente.
Questo fatto ha inizio il 3 maggio del 1478 a Piacenza: in questo giorno muore un certo Francesco Pezzancheri, soprannominato dal popolo Baiamo, che le cronache dicono esser stato “usuraio infamissimo e furfante” e che però “prestava denaro” anche a preti, a religiosi ed ai nobili cittadini. I quali chiudevano un occhio poi sulle sue ritorsioni contro i poveracci a cui aveva dato in prestito denaro con interessi esorbitanti. In quei secoli l’usura era condannata apertamente dal clero e anche dalle leggi secolari, per questo il popolo vide maggior scandalo.
Infatti i frati francescani presero il morto e lo vestirono del loro saio e lo portarono nella chiesa di S. Francesco in piazza e gli tributarono esequie solenni. La gente, per derisione ai frati e al defunto, corse a prender pezzi del panno del suo abito da sepoltura come fosse una reliquia e, come altro scherno, se ne facevano beffe dicendolo santo.
Nel frattempo in quei giorni anche tanti carcerati fuggirono dalla prigione cittadina e anche questo fu in modo ironico attribuito al “santo usuraio”. Il cadavere venne quindi sepolto nel chiostro del convento, quello del quale ancor oggi possiamo vederne una piccola parte da piazzale Plebiscito, con indignazione popolare alle stelle, mentre covava sotto la cenere una tremenda vendetta.
Pochi giorni dopo, a Pentecoste, cominciarono dei tafferugli presso la chiesa francescana da parte di centinaia di piacentini che il giorno dopo portarono ad un fatto increscioso: le cronache dicono che ben quattromila giovani più altri popolani, forse cifra gonfiata ma significativa, andarono gridando “Baiamo Baiamo!” al chiostro e tolte le due piastre del sepolcro cavarono il corpo ormai in putredine dell’usuraio.
Lo legarono con una corda per il collo e lo tirarono in piazza davanti alla casa di Francesco Maletta che era il commissario ducale qui a Piacenza per il duca Galeazzo Maria Sforza di Milano e che passava buon tempo ed amicizia con l’usuraio. Non ci fu nessun intervento della milizia piacentina, per evitare guai maggiori da quella inaspettata sommossa.
Leggiamo che era una giornata di pioggia intensa, ma la furia della gente non si spense ancora e tirarono il fetido corpo fino alla chiesa di San Pietro, dove accanto abitava la moglie del morto con i suoi figli. Ebbe inizio l’atto più violento. La gente imprecò e lanciò maledizioni a quel cadavere che venne poi calpestato, tagliato a pezzi e per mano di una vecchia, che fu tra le vittime dello strozzino, gli fu fracassato il cranio con una legnata. Questa la raccapricciante scena rinchiusa nelle cronache antiche.
La sevizia a quel misero corpo dilaniato finì poi presso la chiesa cittadina di Santo Spirito, dove ciò che ne rimaneva venne miseramente appeso ad un albero e in quel modo, sbollita la rabbia popolare, a Piacenza si tornò alla quotidianità, con buona pace di potenti e religiosi che volevano tributare onori ad un personaggio molto discutibile e di certo impopolare.
6 febbraio 2022
VIDEO CORRADIANO
UN BREVE VIDEO
SPIEGA IL QUADRO DEL 1600 DI SAN CORRADO
nella chiesa di Calendasco
4 febbraio 2022
3 febbraio 2022
1 febbraio 2022
FEBBRAIO 2022
E cu' tuttu lu cori ciamamulo!