
LETTURE DEL BLOG N°122.380 A LUGLIO 2025
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16 luglio 2025
SECCA DEL PO 2025
REPORTAGE NELLA SECCA
DI LUGLIO DEL PO
La solita plastica la fa da padrona
nell'alveo in calo estivo
testo e foto di Umberto Battini area di Po piacentina a luglio 2025
Il primo colpo d’occhio cade inevitabile sull’alveo: l’acqua del Grande Fiume appare torbida, tendente ad un ocra scuro, diversamente dagli altri anni.
E sotto ad un sole estivo che cade a picco, in questa metà di luglio, con il Po che segna all’idrometro del Masero di Calendasco, un metro sotto allo zero idrometrico, era inevitabile un’ispezione all’alveo.
Dopo la grande piena che ha toccato quasi gli otto metri nel periodo d’aprile, ora il fiume è nella classica secca estiva e quello che lascia ritrovare sulle sue sponde non è sempre segnale di rispetto della natura.
La nostra camminata su di un immenso sabbione raggiungibile solo in barca, ci ha messo sotto agli occhi quello che purtroppo sembra inevitabile: tanta plastica, d’ogni genere, rilasciata dall’incuria umana nell’alveo del Po.
Addirittura, impigliato tra gli alberi dalla piena pasquale, rimane un grande bidone plastico, bianco e lucente, ad oltre sei metri d’altezza, sospeso come un’opera d’arte “pop” innaturale.
Sulla rive del Po, dove grandi gruppi di gabbiani svolazzano sotto al sole, rimangono i segni del degrado dell’uomo, molta plastica, che per decenni rilascierà la tanto famigerata micro-plastica, a danno delle falde acquifere.
Questi sabbioni che negli anni ‘70 furono la spiaggia di centinaia di piacentini, oggi languono desolati, dove la mano dell’uomo ha lasciato un segno negativo.
Rimane la bellezza di questi luoghi ameni, dimenticati, battuti solo da qualche airone grigio e da un sole abbagliante, riflesso su questa sabbia bianca.
15 luglio 2025
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PORTO DEL BOTTO
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L'INCENDIO NEI DUE LUOGHI PRINCIPE DEL CULTO
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IL BARBAROSSA A GRAGNANO
E’ molto probabile che il fatto del quale stiamo trattando, sia per nulla o molto poco conosciuto dai più, eppure è certo storicamente e con tanto di documentazione originale. L’imperatore Federico I detto il Barbarossa, finiti i colossali incontri detti “Dieta” tenuti nel 1158 nella piana ai “prata Roncaliae” in area lombarda, oggi di Somaglia, e dirimpetto al “loco qui Medianus Iniquitatis dicit” nell’ansa di Calendasco, passato il Po riprese la strada per il Piemonte.
Stiamo parlando di migliaia di persone al suo seguito alloggiate nel “tentoria” (accampamento), carovana che si muoveva con una certa celerità ma fino ad un certo punto, come è ben ovvio: c’erano i carri delle tende d’alloggio, i carri dei pali, i carri con le gli attrezzi dei maniscalchi e falegnami, le cucine, derrate alimentari, animali alla corda e tanto altro.
La grandiosa comitiva al seguito del Barbarossa, con personalità rappresentative del potere di quel tempo, si mosse passando sul solido ponte di barche nell’area di Cotrebbia oggi detta Vecchia e da lì puntò verso San Nicolò a Trebbia e ben più oltre fino a Gragnano trebbiense.
Nella nostra cronaca storica, ci atterremo ai punti cruciali dell’episodio in questione, e questo per ovvii motivi di sintesi e praticità.
Ma come sappiamo di questa sosta di ben due giorni vicino al paese di Gragnano dell’Imperatore? Lo dimostrano ben due atti originali, uno conservato nell’Archivio di Stato di Siena ed uno in quello di Firenze. Il primo è la concessione di privilegi alla città e popolo di Siena, scritto “in plano Grainyano iuxta Placentiam” (nella piana di Gragnano nelle vicinanze di Piacenza) il 29 novembre 1158 e firmato di pugno dal Barbarossa imperatore invincibile (signum domini Frederici Romanorum imperatoris invictissimi).
L’altro è una concessione e protezione per i frati benedettini del monastero di Vallombrosa, datato 30 novembre 1158 e anche questo scritto solennemente “in prato Grainyano” (nei prati di Gragnano).
Per i nostri lettori è giusto fare una specifica: con le parole in latino “in plano” come “in prato” si indicano delle vastissime aree mantenute incolte, cioè a prativo, e questo era usuale in quel medioevo.
Praticamente erano amplissimi spazi di soli prati e demaniali, cioè di proprietà del Comune di Piacenza, e qui si potevano condurre al pascolo, previo accordi ed a volte pagando un dazio, i propri animali, quali pecore, vacche, ed anche maiali, cosa che non deve stupire, è un fatto documentato.
Ma questi luoghi, all’occorrenza, erano destinati per legge ad ospitare qualche esercito di passaggio, amico o alleato di Piacenza: qui infatti c’era pascolo per i cavalli, ovviamente le terre erano servite da canali irrigatori per portare acqua e c’era lo spazio per piantare l’accampamento per centinaia di uomini.
Federico Barbarossa riprese quindi il cammino il primo dicembre, muovendosi dalla piana di Gragnano, portandosi su quella che è l’attuale via Emila pavese, e dopo 3 giorni lo ritroveremo accampato in sosta in quel di Voghera.
ARTICOLO TRATTO DA ILPIACENZA.IT quotidiano piacentino
articolo di Umberto Battini
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