articolo apparso sul quotidiano di Piacenza LIBERTA'
di lunedì 18 febbraio 2013
SAN CORRADO, L'EREMITA
IL DIES NATALIS
di Umberto Battini
Febbraio
porta ai piacentini la ricorrenza del Santo Eremita Corrado, che domani 19 ne
commemora il dies natalis ovvero la morte fisica e la ri-nascita al Cielo. Ogni
anno la ripresa della memoria serve a conservarne la tradizione storica, così
se in questo anno della Fede proposto dal Santo Padre dobbiamo riscoprire la
figura autentica di Gesù è altrettanto giusto avvicinarci al santo Corrado con
l’intenzione di rivederne la sua figura di uomo medievale negli aspetti di
laico e poi di convertito. Per questo è interessante fare il racconto della sua
vita tralasciando per questa volta i miracoli che meritano una attenzione particolare
a parte.
Il
cavaliere Corrado de’ Confalonieri nasce nel 1290 nel castello di Calendasco, è
presumibile che nella chiesa accanto abbia ricevuto il battesimo. Il feudo
calendaschese già dal X secolo era di diritto vescovile e venne in seguito
affidato ai Confalonieri milites di parte guelfa. L’area a loro sottoposta
gravitava al ridosso del fiume Po e vantava, oltre che una fiorente campagna
coltiva e boscosa, anche diritti d’acque. Durante una battuta di caccia il
nostro venerato Eremita pone le fiamme ad una radura per stanarvi selvaggina. Stabilito
che l’incendio si sviluppò in modo rapido è coerente ritenere sia avvenuto
durante la stagione calda. Recenti studi pubblicati hanno fatto conoscere un
atto di locazione del 1589 ove si legge di una vasta area comprensiva di boschi,
al ridosso di San Nicolò a Trebbia in direzione Rottofreno e una zona di
pertinenza calendaschese che possiamo ipotizzare essere l’area dell’incendio
corradiano perché è chiamata ancora in quei secoli “la bruciata”. La
toponomastica è molto incisiva per aiutare a individuare antiche località e ci fornisce
una prova della bontà delle ricerche storiche.
E’
dunque dopo questo un poco folle gesto che il milite Corrado, a conoscenza che
un innocente contadino era stato incriminato del rogo che bruciò messi e cose, scosso
nella coscienza – e questa sarà la vera scintilla del suo incendio futuro verso
le cose di Dio - decide di presentarsi come certo reo al Galeazzo Visconti
nemico giurato della Chiesa piacentina. Ma ad un nobile non è possibile
imputare pena capitale nonostante sia detestato da questo milanese ora Signore
di Piacenza il quale non riesce a far altro che angariare il Confaloniere della
chiesa piacentina.
E’
significativo che circa tre secoli dopo, dalla lontana città di Noto, in una
lettera spedita in triplice copia nel 1610 una ai Giurati di Piacenza, una al
duca Farnese ed altra al vescovo mons. Rangoni, venga fatto sapere che alcuni loro
storici informati s’erano fatti opinione che il Castrum Calendaschi fosse
appunto di proprietà del Nostro Santo e alienato come indennizzo.
D’altra
parte già nel 1476 è storicamente certo che un nobile di Piacenza che studiava
a Padova sapeva che a Noto si venerava un Santo piacentino.
Così
come è la tradizione storica più antica nel 1315 Corrado viene condannato dal
tribunale del tiranno Visconti ed egli giustamente si priva dei suoi averi. Possiamo
ritenere che gli altri componenti della casata dei Confalonieri gli abbiano
liquidato le proprietà e col ricavato Corrado saldò il debito all’inquisizione
civile, questa era una prassi che si conservò nel tempo, prova provata è il
fatto che il feudo di Calendasco, a parte la parentesi corradiana, restò
certamente tra i maggiori possessi della casata nel XV e XVI secolo e fino alla
confisca farnesiana conclusa nel 1586 e Corrado purtroppo divenne la pecora
nera della nobile famiglia condannato alla damnatio memoriae.
Dopo
un lungo periodo tormentato Corrado arriva alla decisione massima: si ritirerà quale
laico penitente nel piccolo ospizio-eremitorio vicino al molino “del gorgolare”,
non molto lontano dal castello di Calendasco che un tempo fu la sua dimora. La
moglie Eufrosina, nobildonna della famiglia dei Vistarini di Lodi, invece
prende l’abito delle clarisse ed è accolta nel convento di Piacenza. Anche
circa il nome della moglie del Santo Corrado quando aveva vita civile, nella
missiva di risposta spedita da Piacenza nel 1611 a Noto, si legge che la
probabile moglie del Santo Corrado si chiamava Gioannina e risultava essere
stata rintracciata in antichi registri del convento di Santa Chiara ancora
vivente a tutto il 1356.
Il
giovane Corrado è accolto da fra Aristide, vigoroso superiore del piccolo eremitorio
e ospitale francigeno del quale tuttora si conserva, ristrutturato a regola d’arte,
la parte maggiore composta dalla ex-chiesetta addossata alla via principale e tutto
il fabbricato di quel che fu l’edificio religioso. Il grande porticato ci
rivela le tante porticine delle camere d’alloggio; ancora intatto anche l’antico
pozzo in laterizio nella parte sotterranea a volte a vela, certamente un residuo
del primo xenodochio longobardo, d’altra parte la conferma ce la danno atti
notarili longobardi relativi a Kalendasco.
Dopo
qualche anno di tirocinio e noviziato, il convertito Corrado decide di
partirsene malgrado fossero passati lunghi anni dall’incendio, egli è talmente in
stima che le genti piacentine si recavano da lui per ricevere consiglio nei
travagli della vita.
Lascia
Calendasco: qui è nato in carne e qui è rinato in spirito il giorno che fu
accolto nella piccola comunità di fra Aristide. Pellegrino francigeno egli
stesso, diretto alla città di Roma; il peregrinare lo porta prima ad Assisi,
perché vi si conserva il corpo santo del Poverello del quale aveva scelto
l’abito di terziario.
Dopo
Roma si dirige a Brindisi e s’imbarca per la Terra Santa, è Gerusalemme la meta
più agognata di quei secoli. In effetti gli studiosi sono concordi nel ritenere
che per un certo lasso d’anni che potrebbe andare indicativamente dal 1325 anno
della partenza da Calendasco, al 1343 anno del suo arrivo a Noto, non sia
possibile sapere cosa abbia fatto, rimane probabile il pellegrinaggio maggiore.
Ricomparirà quindi il nostro Eremita nella storiografia segnalato nel suo
tentativo di soggiorno sull’isola di Malta, meta di sosta obbligata per tutte
le navi che da Gerusalemme tornavano verso l’Italia. Fonti storiche narrano di
come Corrado fa un primo tentativo di vita eremitica proprio sull’isola maltese,
ma le genti in qualche modo gli si accaniscono contro e se ne parte.
Lo
ritroviamo quindi in Sicilia, terra eletta di piccole comunità eremitiche sul
modello dei Padri del deserto. Vestito del suo abito grigio e di ruvido
mantello Corrado il pellegrino risale nell’entroterra siculo e giunge nel borgo
di Palazzolo, ma anche qui è cacciato malamente e gli aizzano contro dei cani,
altro segno del destino per il frate penitente che adesso diventava lui preda a
differenza di quando era cacciatore.
Finalmente
lo consigliano di recarsi a Noto dove avrebbe trovato della buona gente – la
città di Noto che calpestò San Corrado oggi ha preso il nome di Antica perché
fu distrutta dal terremoto del 1693, la nuova città fu ricostruita più a sud –
arrivato all’ospizio di S. Martino vi alloggia per breve periodo. Fa la
conoscenza di fra Guglielmo e decidono di vivere la desiderata vita solitaria non
lontano dal castello in un luogo detto le Celle. Un’indole introversa, maturata
in anni di viaggio, ormai vinta solamente alle cose di Dio fa crescere nel cuore
dell’Eremita piacentino il desiderio di cercare altro luogo più deserto dove la
gente non possa distrarlo dalla contemplazione.
Così
trova dimora nella netina Valle dei Pizzoni, tra la brulla montagna in una zona
difficile da raggiungere. In quei pochi anni che vivrà in questa zona desolata farà
tanti miracoli a favore del popolo. Quello più conosciuto riguarda la
moltiplicazione dei pani, al quale addirittura ebbe ad assistere il vescovo di
Siracusa perché in quel tempo Noto non era ancora sede vescovile. Durante la
carestia sfamò tantissime genti, per questo alla sua morte fu acclamato santo a
furor di popolo. E’ tradizione tutta piacentina il benedire e poi distribuire
piccoli panini durante le celebrazioni a lui dedicate. L’uomo Corrado, il
penitente pellegrino e poi eremita finirà i suoi giorni il 19 di febbraio del
1351, morendo ormai malato e stremato concretamente come aveva vissuto: in ginocchio
ed in preghiera. Il corpo dell’Eremita del pane caldo verrà conteso tra i
cittadini di Avola e Noto, ma proprio quest’ultimi per un ultimo prodigio del
Santo ne potranno preservare le spoglie.
Da
allora riposa in una suntuosa Arca d’argento, che il popolo di Noto da secoli
conserva nella cattedrale con una gelosia permeata di una venerazione popolare
fortissima.
Ma
l’esempio di vita del Santo ha portato frutti in tanti cuori di uomini che si
diedero a vita eremitica e non pochi furono quelli di Sicilia. L’isola mostra
vestigia a lui dedicate e recentemente si è scoperto un piccolo ed antico eremo
intitolato a San Corrado nel 1661 nella città di Messina grazie alla
segnalazione dell’amico ricercatore Pippo Lombardo. Oggi è dimora privata, ma
in questo eremo si conservava in una cappella dedicata, un grande dipinto ovale
che ritraeva il Santo Corrado ormai vecchio sostenuto da due angeli nel momento
della morte. Anche ad Adrano di Catania in una chiesa ormai chiusa al culto si
è ritrovata una statua lignea ottocentesca votiva al Santo, recentemente
restaurata dal prof. Carmelo Cozzo. L’attuale santuario nella valle di Noto, che
custodisce la grotta del Santo e l’adiacente eremo furono edificati nel 1751,
IV centenario della morte del Santo, per iniziativa dell’eremita fra Girolamo
Terzo; nella
stessa grotta vi è eretto un altare e proprio lì accanto si vedono impresse le
ginocchia di S. Corrado.
Da
ormai circa quattro secoli, il suo borgo natio Calendasco lo ha eletto Patrono
e ne conserva i due monumenti fulcro cioè il castello e l’ospizio-romitorio ma
il Patronato su questa comunità ebbe ancor più rilievo con il Legato Sancti
Conradi del 1617 sottoscritto in Curia a Piacenza a suggello delle ricerche
storiche del tempo; difatti il vescovo mons. Rangoni “tutte le predette cose
approva conferma e loda… e dopo aver osservate le debite formalità della legge,
dalla pienezza della sua autorità Episcopale, interpose e interpone parimenti e
decreta”.
Un
uomo dal volto pratico quello dell’Eremita, una storia che lega Calendasco a
Noto e che ci deve ancora svelare tanto, lasciandoci meditare sulla tenacia del vivere che può attuarsi,
come nel nostro caso, anche in una strada impensabile di santità.
Umberto
Battini