LETTURE DEL BLOG N°118.533 A GIUGNO 2025

25 giugno 2025

GESTIONE DEL PO

ECCO L'ARTICOLO PRESO DA ILPIACENZA.IT
di Umberto Battini apparso sul quotidiano del 10 ottobre 2024
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isogna mettere il naso dentro a quei libri storici  “per addetti ai lavori” e quindi con pochissima diffusione pubblica, per ritrovare notizie di cronaca nuda e cruda. Un caso simile è il “Chronica Civitatis Placentiae”, volume stampato a Parma nel 1862 dalla Fiaccadori a cura del Bonora, ovviamente in latino e senza nessuna traduzione minima.

La “Chronica” è del medievale medico piacentino Johannis Agazzari che trasmette le cose di quei tempi, anche alcune un po’ più antiche. Abbiamo quindi fatto una scelta tra le centinaia di notizie che ci ha lasciato, traducendo quelle che parevano particolari e curiose, sicuramente pochissimo conosciute. Ogni notizia quindi inizia con il classico “Anno domini” e poi con la data, spiegando il fatto notevole che successe a Piacenza o nel circondario, schiettamente e senza fronzoli.

Nell’anno del Signore 931 gli “Ungari pagani” arrivarono in Lombardia (si intendeva con quel termine praticamente tutto il nord Italia) e tra le altre male cose incendiarono il monastero di Angilberga e tutta la città: “Incendierunt quoddam Monasterium...” di San Sisto e purtroppo anche “totam dictam civitate Placentiae”.

Nell’anno 1003 “Luna visa est versa in colorem Sanguinis”, cioè la luna divenne del colore rosso sangue, probabilmente un fatto astronomico ma che destava stupore nel popolo, non trovando spiegazioni logiche.

Sicuramente restò impresso questo evento nel 1081, quando “Civitas Placentia quasi tota arsit in Sabato sancto”, cioè la città bruciò quasi tutta nella notte prima della Pasqua. Certo non era una grandissima città a quel secolo e le case, a parte quelle di nobili e prelati, di regola erano per buona parte fatte in legno e gli incendi, se indomati, erano fatali.

Ed ecco nel 1087 a Piacenza e nel territorio accadere una “magna siccitas” (grande siccità) dove seccarono fiumi e pozzi, ricorda l’evento del Po di un anno fa. Allora i nobili e il clero con molto popolo portarono in processione il corpo di “Sanctae Justine in circhuitu Civitatis” e per grazia di Dio arrivò un tempo di “magna ubertas”, cioè grande abbondanza.

Nell’anno 1140 bruciò tutto il borgo di Santa Brigida “de mense Augusti Burgum Sancte  Brigide arsit”, a quel punto ancora una volta dalla cripta della cattedrale “extractum fuit” il corpo di S. Giustina e portato “ad predictum igne” per ottenere un altro miracolo sullo spegnimento del fuoco.



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Le cronache del medioevo: Piacenza spesso bruciava, ma si poteva anche morire congelati nel letto
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GLI ANTICHI UFFICI E I FUNZIONARI

PER LA GESTIONE DEL PO




L’importanza del Grande Fiume nella gestione politica e sociale di chi governava il nostro territorio tra medioevo e ottocento, la deduciamo dalle strutture di uffici e funzionari delegati.

Ecco allora un elenco di alcune strutture che a Piacenza erano autorizzate a soprintendere sul Po, che abbiamo desunto da ottimi studi e documenti piacentini.

Lungo il Po, se osserviamo le mappe antiche, troveremo segnati dei capanni, piccole case poste proprio sulla riva del fiume, dove arriva la strada principale che va ai porti chiamate “Bergantino o Bargello”. 

Qui era il capo delle guardie cioè il “Capitano luogotente del Bergantino”, con il corpo di polizia fluviale, che controllava che tutto procedesse con legalità nel commercio di merci portate per “via d’acqua” senza frodare nel pagamento dei dazi.

Tra ’600 e ’700 troveremo invece questi luoghi segnalati come “Casa del dazio” sempre su strade d’approdo a porti fluviali come è ad esempio il caso del porto di Veratto, dove le mappe segnalano la “regia strada commerciale del Veratto” con questi definiti capanni di dogana.

A soprintendere, dal suo ufficio in città, troviamo il “Capitano del Po” che è un funzionario che risponde direttamente al Duca circa tutto il distretto di Piacenza, e toccava a lui dirigere tutto ciò che riguardava la navigazione fluviale sia per scopi civili che militari.

Importante era “l’Ufficiale del Porto del Po”, che poteva essere sia di nomina statale camerale od anche appaltatore, cosa più comune, ed era obbligato quindi alla custodia ben definita dei traghetti lungo l’alveo ed anche a riscuotere i pedaggi.

D’antica fondazione medievale viscontea, la “Corporazione dei paroni e marinai del Po”, in essa erano raggruppati tutti gli addetti a navigare, quali barcaroli, molinari natanti e pescatori. 

Si dividevano in due gruppi: i paroni ed i marinai o anche detti navaroli, i primi avevano al loro servizio le squadre di navaroli pronte ad intervenire lungo le rive del Po in caso di inondazioni, per la custodia del fiume o per navigazione militare in tempo di guerra.

I navaroli erano però esentati dal servizio militare e da certe tasse e qui nel piacentino nel XV secolo erano ben 76 divisi in due squadre: quella d’Oltrepo in sponda lombarda, con uomini a Mezzana Oltrepò, Caselle Landi, Minuta Vallera e San Rocco, sulla riva destra le squadre erano a Piacenza, Calendasco con Boscone Cusani, Mezzana ed una a Mortizza con Zerbo.

Nel ’700 era attivo il “Governatorato della Longa del Po” dedito alla Darsena di Piacenza ed a tutto il corso del fiume nel Ducato, occupandosi di tutto tranne che della polizia fluviale. 

Questi funzionari della Longa avevano ampi poteri con la facoltà di fare norme sulla navigazione, giudicare le liti fra pescatori o barcaroli e potevano arruolare i marinai o navaroli ducali in caso di necessità.

Tanti erano anche altri tipi di incarico “di fiume” per certi versi minori, che dal medioevo e fino ben oltre l’epoca napoleonica riguardavano il Po qui a Piacenza, con il quale la città bene dimostrava di avere un legame che oggi sorprende.

Umberto Battini

ricercatore storico locale