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20 febbraio 2014

ARTICOLO SAN CORRADO 2014


CORRADO CONFALONIERI
Incendiario, ma Santo

di Umberto Battini

 
Dal medioevo emerge ogni 19 febbraio la memoria di quel grande uomo e santo piacentino che è Corrado della casata Confalonieri.
Se della sua nascita, ritenuta nel 1290 nel castello di Calendasco, ove era feudatario, ormai ne segna certezza il documento vescovile di Piacenza del 1617, altri aspetti meritano divulgazione. Molti storici religiosi dei secoli scorsi si sono occupati del nostro Eremita ed in maniera alquanto informata.
Oltre alla nascita, un fatto storico certo è il luogo ove si ritirò da penitente quando, dopo aver causato l’incendio durante la caccia, fu condannato circa nel 1315 da Bernabò Visconti ad un risarcimento che lo portò alla povertà totale. Venne cancellato dalla memoria della casata Confalonieri; i suoi successori, però, restarono feudatari del borgo padano ancora per lunghi decenni, come attestano carte in archivio.
Il luogo scelto dal Confalonieri per scontare la sua colpa era un ospedale e romitorio di terziari laici francescani, ricordato dal Wadding negli Annales Minorum:  “…vestito da eremita volse i suoi passi a un certo luogo solitario, detto con nome antico e non più in uso Gorgolare…”. Questo ospedale romitorio è ricordato anche dallo storico Bordoni, già nel 1568 dal Puglisi e dal Littara, entrambi di  Noto, dall’insigne De Sillis e da altri storici del francescanesimo di fama attuale quali l’Andreozzi, il Pazzelli, il Luconi ed il Parisi.
A onore del vero, il libro dello storico piacentino Campi sulla Vita del Santo del 1614, per ammissione dello stesso autore, rimane un’agiografia incompleta, che si rifà al testo di Vincenzo Littara di Noto, pubblicato postumo nel 1608 ed inviato dai Giurati netini a Piacenza nel 1610.
Proprio il Parisi, che fu anche Ministro Generale del Tor francescano, scrisse molto ampiamente di Calendasco, citando addirittura della sua amicizia da storico nel 1959 con l’arciprete don Federico Peratici e di quando venne personalmente a vedere questi luoghi.
Grazie ad un prezioso documento detto dell’“anonimo di Montefalco”, rinvenuto e pubblicato dall’Andreozzi, possiamo storicizzare il romitorio calendaschese “del gorgolare” e collegarlo nientemeno con i Terziari francesi di Tolosa.
A capo di questo ospizio per pellegrini in Calendasco, su quella che oggi riconosciamo come via francigena, era da un trentennio frate Aristide, notizia comprovata dal fatto che, nel 1295, fu chiamato a costruire il convento di Montefalco in Umbria di quella convertita che poi diverrà S. Chiara.
Circa il nome che era stato tramandato, cioè ospedale “del gorgolare”, era dovuto al fatto che non molto distante vi erano il mulino e l’acqua del rivo Confaloniero che faceva una curva a gomito, rovinava, producendo un continuo rumore detto gorgogliare; ancora oggi è verificabile anche se il grande canale nel tratto del paese è stato intubato ed il mulino è chiuso da anni.
Dell’edificio che ospitò San Corrado a Calendasco rimangono tracce in antiche mappe ed anche in carte notarili del 1600 ove “l’hospitio dicti loci calendaschi” ed il suo portico servirono come luogo moralmente utile alla stipula di contratti.
Nella parte più antica del romitorio, quella che vede contenere anche il maestoso pozzo incamiciato in laterizio a livello pavimentale, si riconosce l’antica fondazione longobarda, ospizio per i pellegrini diretti al vicino traghetto del fiume Po.
Interessante anche collocare il nostro Santo negli accadimenti di Piacenza in quel medioevo che risale ai primi anni del 1300. Come detto, Corrado stesso incorrerà nelle ire del Visconti dopo aver causato quel devastante incendio; sulle prime, quel fatto fu visto come uno sfregio alla parte ghibellina, fino a che fu appurato che la causa era dovuta a una battuta di caccia.
Nello stesso periodo a Piacenza si respirava un’aria di tensioni, riguardanti ad esempio un certo numero di templari, stabilitisi presso la chiesa di S. Maria del Tempio accanto a S. Giovanni in Canale; nel 1307 si aprì la causa inquisitoria verso questi frati-cavalieri che si concluse con la soppressione amministrativa nel 1312.
Alcuni templari piacentini furono processati a Ravenna nel 1310 ed assolti, ma il clima cittadino non doveva essere dei migliori se, sempre in quegli anni, nel territorio piacentino andava a caccia di eretici dolciniani frate Lanfranco di Pavia.
Inoltre, mentre Corrado l’incendiario iniziava il suo percorso di terziario e penitente, nel 1318 pendeva sulla testa dei francescani dissidenti, detti Spirituali, una scomunica da parte di papa Giovanni XXII; accadde così che l’abito grigio usato dai penitenti laici terziari, come quelli nell’ospedale di Calendasco, poteva essere confuso con quello di quei frati Spirituali.
Immaginando il nostro Corrado al lavoro in questo luogo, ove tanti pellegrini e viaggiatori potevano trovare breve sosta ed alloggio prima o dopo il passaggio del fiume Po, saranno giunte notizie circa i frati dissidenti fuggiti dalla Toscana in Sicilia, la terra che alfine lo accoglierà con più attaccamento.
Lo stesso papa dovette fare anche un’altra bolla nella quale diceva di non fare alcun male ai terziari penitenti francescani perché ingiustamente confusi con gli eretici e questo testimonia la necessità di far smettere una persecuzione cui erano sottoposti.
San Corrado, dopo qualche anno di servizio, partirà da Calendasco pellegrino itinerante verso Roma e poi fino alla Terra Santa, luogo massimo di espiazione.
Una scelta forse dovuta al fatto che le fraternità terziarie, come quella attiva in Calendasco, stavano ancora cercando di trasformarsi in un vero e proprio Ordine Regolare ma con tante controversie, non ultima la disputa con l’ordine dei frati minori che voleva sottomettere a sé questi penitenti.
La partenza dal territorio piacentino è ipotizzata circa al 1325 e lo ritroveremo storicamente accertato in quel di Noto nel 1343 come bene analizza in uno studio netino lo Zappulla.
Ma in quel ventennio del quale di San Corrado si perdono le tracce, dove visse e cosa fece?
Ipotesi storiche portano a pensare appunto al suo viaggio ad Assisi, quindi a Roma e poi fino a Gerusalemme; in quegli anni lo immaginiamo sostare presso comunità a vocazione eremitica perché quella sarà la spiritualità forte e decisa che vivrà negli ultimi anni della sua vita bene documentata, basti vedere la grotta inglobata nel Santuario nella valle di Noto.
Oltretutto il nostro Piacentino, visto il suo trascorso di nobile, senza dubbio sarà stato padrone della scrittura e della lettura e non gli sarà stato difficile saziare il bisogno di ricerca interiore, accostandosi a letture religiose.
Il viaggio a Gerusalemme può essere storicizzato anche dal fatto che, per un certo periodo, si diede a vita eremitica sull’isola di Malta, luogo di sosta delle navi provenienti dalla Città Santa.
Si stabilì in quel di Casal Musta nella cava Vied el Axsel (fiume di miele), ma non fu accolto benignamente dalla popolazione locale. Infine fu in malo modo e con menzogna cacciato da quel luogo del quale si tramanda la prodigiosa fuga via mare fino in Sicilia steso sul proprio mantello; i maltesi a lui più devoti ricordarono questo fatto in due grandi tele che raffigurano questi episodi.
La sua meta divenne quindi la Sicilia, terra eletta di comunità eremitiche sullo stile orientale, fatto dovuto anche alla sua morfologia che mostrava gruppi montuosi ove era facile ricavare grotte in anfratti isolati.
Dopo una peregrinazione, il nostro Piacentino giunse finalmente nella città di Noto e qui venne subito accolto con umanissima cordialità presso l’ospizio di San Martino.
Infine lo ritroviamo isolato nella grotta della Valle dei Tre Pizzoni (tre piccole cime) immerso in una vera e propria vita solitaria, anche se di tanto in tanto si portava a Noto per assistere alla santa messa, per confessarsi e ricevere la comunione; in quella grotta morirà il 19 febbraio del 1351.
Nel processo testimoniale del 1485 sono raccolte decine di deposizioni di miracoli dovuti al Santo, che già erano copiosamente narrati nella sua Vita più antica, ma come descrive il Parisi: “Il forestiero e il pellegrino che oggi mettono piede in Noto, rimangono vivamente colpiti dalla straordinaria devozione che si nutre verso S. Corrado”.
Il piccolo borgo di Calendasco custodisce, visibili ai fedeli, i monumenti simbolo di questo santo quali il maestoso castello, la chiesa ove certamente fu battezzato e l’ospizio-romitorio punto di svolta di tutta la sua vita e fieramente da oltre quattro secoli la comunità lo ha eletto Patrono ed ogni anno alla festa viene rinnovata la Supplica.
Anche la città di Piacenza ormai da quarant’anni ha voluto riscattare questa bella figura di santo eremita dedicandogli una moderna chiesa parrocchiale: uno dei tanti uomini del nostro medioevo che meritano attenzione per la forte radice culturale e spirituale che parla a noi moderni.

Umberto Battini



6 febbraio 2014

SOCIAL sei di Calendasco se...


CALENDASCO c'è
Iniziativa social via web

E così è stata la volta del nostro paesello sul fiume Po.
Grazie alla buona idea della Giusy Decio che, visto il proliferare di - sei di... se - su facebook, ha creato il gruppo e siamo già in tanti ad aver aderito.
E' proprio bello. Ma non è solo nostalgia, c'è la vita andata ma non perduta della nostra terra.
Anche le immagini parlano!
E saltano fuori ricordi e memorie e cose buffe e serie e bellissime.
Allora anche noi "ragnaroli" siamo forti mica solo gli altri.
Io ho aderito immediatamente e tantissimi altri, di ogni età.
Chi abita in un luogo di diritto è parte d'esso e così è anche per tutti coloro che un tempo ci hanno abitato e magari ci sono nati oppure hanno frequentato amici e ci conoscono bene e possono anche loro dire qualcosa di calendaschese o meglio "di ragnarolo".
Allora buon social a tutti, ci sentiamo anche lì!

Voster Umbe