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20 febbraio 2015

ARTICOLO 19 febbraio 2015

Apparso a PIACENZA sul quotidiano LIBERTA'
nel giorno della PATRONALE a CALENDASCO





di UMBERTO BATTINI

Un capitolo storico rilevante della difficoltosa ricezione della fama di santità di S. Corrado nella terra piacentina ed in particolar modo proprio nel borgo che gli diede i natali fisici nel 1290 dentro al castello di Calendasco, è dovuta alla ostilità dei duchi Farnese di Piacenza.
Con l’omicidio nel 1547 di Pierluigi Farnese al quale partecipò il Confalonieri feudatario di Calendasco la nobile casata si vide negare gli onori che a Piacenza un avo salito alla santità avrebbe portato, i Farnese per vendetta fecero cadere un oblio che si protrasse fino ai primi anni del seicento, quando la loro vendetta potè dirsi consumata vedendo il congiurato esiliato a Milano e depredato di tutti i diritti di feudalità su Calendasco.
E’ un nuovissimo capitolo storico che si sta approfondendo con successo di documentazione che merita senza dubbio di entrare nel discorso relativo alla notizia di santità dell’Incendiario di Calendasco, e ciò ha inizio tra Noto e Piacenza nel lontano 1610 quando i Giurati di quella città sicula scrissero tre lettere, ognuna di tenore diverso, appunto una al Duca Farnese ed altre al Vescovo e ai Giurati di Piacenza. Proprio in queste ultima lettera si fa esplicito riferimento ad un dato conosciuto già da loro a Noto cioè scrivono di sapere che lo stesso S. Corrado fosse stato a suo tempo possessore del castello e feudo di Calendasco e chiedevano che si facessero ricerche in archivio.
L’approfondimento storico lo fecero i Giurati di Piacenza che nel 1611 scrissero a loro volta a Noto comunicando ciò che avevano rinvenuto allegando una “informazione circa l’Illustre Famiglia Confaloniera et della moglie di S. Corrado” e ovviamente, loro come reggenti la città di Piacenza soggetti direttamente al Duca, si guardano bene dal rispondere ad una delle domande principali cioè se il castello di Calendasco fosse stato dimora del Confalonieri non ostante da alcuni secoli e fino al 1586 i Confalonieri fossero stati effettivamente feudatari di quel luogo ed era una cosa risaputa.
A risolvere la questione storica con coraggio ci penserà lo stesso vescovo di Piacenza mons. Claudio Rangoni che partecipa di persona alla stesura per mano del notaio e Cancelliere della Curia Episcopale Giovan Francesco da Parma, dell’ormai noto Legato Sancti Conradi del 9 agosto 1617 nel quale oltre a leggersi nelle primissime righe che la nobile famiglia Confalonieri era da secoli feudataria del borgo di Calendasco, riporta che nello stesso luogo S. Corrado vi era nato fisicamente “ex eodem loco iste Sanctus, ut praefertur originem terrenam duxerit.”.
Mons. Rangoni mette per iscritto che tutte le predette cose loda, approva e conferma e dalla pienezza della sua autorità Episcopale firma e decreta su quanto contenuto e precisato nel documento diplomatico notarile che riguardava la fondazione nella chiesa di S. Maria di Calendasco di una cappella ed altare dedicati a S. Corrado, voluta dal conte Giovan Batista Zanardi Landi successore dei legittimi titoli che erano della famiglia Confalonieri, ramo primario di diretta discendenza del Santo Corrado ed ora esiliati.
Insieme alle tre lettere arrivate da Noto era allegato il libro della Vita di S. Corrado scritta dal Littara che fu utilizzata di sana pianta dal canonico Campi per dare alle stampe tra 1611 e 1614 un agiografia del Santo Piacentino, testo nel quale lo stesso autore asserisce di aver attinto completamente dal Littara e nelle prime pagine prova a porre alcune ipotesi quali il luogo dell’incendio a Travazzano presso le Case Bruciate di Celleri ma una pergamena del 1589 conservata in archivio di Stato a Parma ha fatto conoscere una vastissima area agricola coltiva, a pochi chilometri dal feudo di Calendasco denominata “la Bruciata” toponimo che richiama ad un antico vasto incendio quale appunto forse quello del Cacciatore Corrado.
Ma lo stesso Campi appena dopo la pubblicazione del testo così come gli chiedevano i Giurati di Noto, ammette in una sua lettera contenuta in un manoscritto parmense che la Vita del Santo da lui scritta “parimente si dovrà ristampare… sì per correggere in essa alcuni particolari, ivi notati…”.
E’ fuori di dubbio che il volume del Campi in Sicilia non trovò grande riscontro in quanto ricalcava come detto la Vita già pubblicata a Noto e scritta dal Littara, mentre ci si aspettava un approfondimento preciso sul S. Corrado vissuto negli accadimenti storici piacentini tra 1290 e 1323 anno della partenza dall’ospizio-convento di Calendasco che lo accolse nel 1315 come penitente francescano dopo che fu ridotto sul lastrico dalla confisca operata da Galeazzo Visconti per riparare del danno dell’incendio.
Già in questo anno 1315 pensiamo con ragione che sia stata operata una prima damnatio memoriae da parte della sua stessa famiglia che venne disonorata e messa maggiormente alla mercè del despota Galeazzo che era nemico avverso alla chiesa piacentina, ma la documentazione ci mostra che i Confalonieri poterono continuare il loro dominio sul territorio di Calendasco in quanto Capitani vescovili ed erano il ramo della casata discendenti di S. Corrado, tra i Maggiori della città mentre il ramo che aveva infeudate le aree quali Celleri e la frazione Torre Confalonieri era minore e detentore di pochissimi titoli.
La causa principe che portò alla cancellazione della memoria e della fama di santità in terra piacentina del Penitente fu causata nel 1547 da Giovan Luigi Confalonieri di Calendasco, che fu uno dei congiurati che partecipò all’omicidio di Pier Luigi Farnese, figlio di papa Paolo III.
Dai documenti ufficiali della confisca operata dai Farnese sui quattro congiurati, quelli riguardanti il Confalonieri sono relativi a Calendasco ed al castello il cui feudo era condiviso con i suoi fratelli, cioè il Confalonieri omicida aveva dimora principale nel castello e la sua abitazione di Piacenza posta nel quartiere di S. Eufemia risultava data in affitto, testimonianza questa che oltre a farci sapere di ragioni politiche, ci fa comprendere che l’obbligo imposto ai Nobili dal Duca Farnese di abitare in città almeno sei mesi all’anno, non era benevolmente accolta.
In effetti questa casata amava abitare nel maniero del borgo natale di S. Corrado, lo testimoniano documenti e accadimenti quali l’assedio del castello del 1482  e un omicidio nel 1572 oltre al fatto che ad esempio non esitarono di stipulare con il parrocco del paese la cessione di loro terreni fertili in cambio di altri soggetti a inondazione, risulta insomma un maniero vivo sotto molti aspetti propri di quei secoli ed ancora nel 1584 risultano feudatari “bonis et juribus loci Calendaschi” non ostante la confisca farnesiana sia incombente.
Ci vorranno ben trentanove anni ai Farnese per arrivare alla confisca sul Confalonieri quando nel 1586 sarà costretto ad andare a vivere a Milano ove sarà fatto Capitano di Giustizia e portando con sé la somma cospicua della vendita della sua parte di castello e terre al conte Landi.
Fino a quelle lettere dei Giurati di Noto del 1610 nessuna notizia riuscì a trapelare sul Santo Corrado che già da ormai quasi tre secoli era venerato in Sicilia ed i Farnese ostili ai legittimi successori del Santo, appunto per l’accadimento narrato, ce la misero tutta per ostacolare la diffusione del culto nel piacentino e particolarmente proprio a Calendasco terra natale del Santo ma sfortunatamente luogo ove abitava da quel 1547 l’assassino di Pierluigi Farnese.
Una prova è anche data da una lettera dello stesso Farnese che scrive a Noto informandoli che la copia di documenti che doveva far giungere a Roma per perorare circa la causa sul Santo, era andata sfortunatamente persa e se ne dispiaceva molto, ed in questo fatto, letto secondo gli accadimenti storici che oggi possiamo più precisamente sapere, riconosciamo un modo diplomatico per frenare il culto: fino a che un Confalonieri sarebbe stato in Calendasco mai i Farnese avrebbero permesso la diffusione del culto specialmente e soprattutto nel borgo.
Con il 1600 quando ormai il Confalonieri congiurato è stato mandato in esilio e la casata con titoli minori rimane tranquilla e silente al suo posto nel piacentino, il Farnese comincia ad aprire al culto in Piacenza, non in Calendasco, fino all’azione vescovile del 1617 con il Legato corradiano. Ma sarà sempre lo stesso vescovo di Piacenza con Luigi Confalonieri che spalancheranno la porta al ritorno del Santo in Piacenza con la richiesta della reliquia ai netini e l’erezione della cappella con gli affreschi della volta realizzati nel 1613 dal Galeani di Lodi. Ma è da notare che ritraggono solo gli accadimenti della Vita del Santo svolti a Noto, nessun accenno a quelli piacentini dell’incendio, anche se già il “ritorno” in Cattedrale è un segnale importante perché è come se lì il culto per S. Corrado fosse protetto ed intoccabile dalle ostilità farnesiane, nell’attesa di poterlo riportare sulla strada della verità storica.
Solo nella chiesa di Calendasco, ed in nessun altro luogo al mondo, si pose una pala d’altare del seicento nella quale il Santo è raffigurato appena dopo la causa della conversione, mostrando la scena della cattura dell’innocente contadino e dell’incendio con il rivo del gorgolare che scorre al suo fianco a simboleggiare il romitorio di Calendasco, con anche gli attributi da eremita quali il rosario, il teschio e la frusta della penitenza, mentre il piede destro poggia sulla nuda terra, simbolo della sua nascita fisica ed il piede sinistro poggia su una fredda e grigia pietra allegoria della futura vita da eremita in una grotta nuda e disadorna lontano dal mondo nella Valle dei Pizzoni presso Noto.
Con l’occasione che ci è data in questo 2015 della ricorrenza del V° Centenario dell’Indulto di Beatificazione, che vedrà coinvolte le autorità civile e religiose di Noto che con tanti fedeli si porteranno in pellegrinaggio a Calendasco per vedere di persona i luoghi nei quali nacque e visse S. Corrado, possiamo dire conclusa dopo ben 468 anni la fase di damnatio memoriae riversata sul culto in terra piacentina dai Farnese che iniziò nel 1547.
Il 19 febbraio Dies Natalis non solo saranno ormai quattrocento anni che si venera come Celeste Patrono il Santo Confalonieri nel paese di Calendasco ma con il dono di un gigantesco Cilio da parte dei Portatori netini, si instaurerà un gemellaggio spirituale di portata storica e religiosa che passerà negli annali della devozione.

Umberto Battini