uscito il 15 settembre 2014
LAVORARE SUL PO
IN LOCALITA' BOSCO
un connubio tra l'uomo e il fiume
di UMBERTO BATTINI
Alle
montagne di sabbia, è in questo modo che da generazioni i giovani di questo
lembo di bassa padana indicano la cava sul fiume da dove si estraggono inerti
quali sabbia e sassi, ma anche questo luogo ha un nome, è la località il Bosco
a non molta distanza da Calendasco.
Dall’alto
dell’argine si scorgono benissimo il castello dove nacque San Corrado e la
chiesa e quando le giornate sono limpide si intravedono senza difficoltà pezzi di
Piacenza: il palazzo Farnese, le ciminiere della centrale elettrica ed il
grattacielo dei Mille.
Ma
quello che colpisce è l’immensità della pianura che dalla sponda del fiume Po
si staglia a perdita di vista da est ad ovest verso il nostro appennino.
Se
Calendasco è storicamente un paese rivierasco di pescatori professionisti e
barcaioli e di agricoltura, qualcosa dell’antico mestiere del renaiolo, cioè di
colui che viveva estraendo la sabbia dal
letto del fiume, lo possiamo ancora vedere sebbene trasformato nel tempo grazie
dall’uso di mezzi meccanici.
Oggi
quindi la sabbia non è più estratta completamente a mano con la fatica d’essere
poi sbadilata dalle possenti barche dette magane, per esser portata a riva con
delle barelle per poi venire scarriolata e caricata su carri trainati da
cavalli. Già dall’ottocento e nella prima metà del novecento una importante
famiglia di cavatori e barcaioli furono i fratelli Civardi di Calendasco, che
nella antica località sul fiume chiamata Raganella, tenevano le imbarcazioni
per la loro attività.
La
moderna cava al Bosco venne fondata oltre argine su area demaniale nel 1956 da
Renato Rigamondi di Calendasco che con i primi ausili meccanici si serviva per
l’estrazione di una turbina posizionata su di un barcone ma dopo qualche anno la
cava fu ceduta ad altra proprietà, fino a che nel 1967 i fratelli Romano e Sandro Vidi iniziarono l’impresa che
è stata trasformata in ditta nel 1969.
Come
raccontano, in quegli anni la sabbia era prelevata con l’uso di una pompa
dragante che era lunga oltre 100 metri e che poggiava su tubi distesi
sull’immenso ballottino del Po lì davanti, perché il fiume scorreva appunto più
a nord di dove lo si vede ora e quindi per raggiungere l’alveo occorreva tutto
questo sistema di tubazioni che in parte rimangono come muti testimoni, in
alcune aree del cantiere.
A
quel tempo la conformazione dell’alveo era leggermente diversa dall’attuale e
proprio da lì iniziava una grande e lunga lanca del fiume che nei decenni le
piene hanno completamente riassorbito nell’alveo attuale.
Negli
anni settanta questa era anche la spiaggia estiva dei calendaschesi che
animavano questo luogo nei fine settimana dove era ancora possibile fare il
bagno nelle acque del grande fiume ed anche la pesca risultava molto ricca.
Dall’alto
dell’argine maestro il cantiere sembra innestarsi in modo magnifico nel
contesto fluviale con le sue montagnole di sabbia e sassi, dove da sempre i
bambini si divertono a improbabili scalate e quegli scheletri di ferro sospesi
nel vuoto tanto utili nel lavoro e che sono entrati nel contesto paesaggistico
comune vanno guardati con curiosità perché vantano una storia di lavoro e vita
di fiume che viene da lontano: prima di questi moderni mezzi meccanici meno di
un secolo fa qui era solo la forza fisica dell’uomo che permetteva di cavare
faticosamente sabbia e ghiaie dal fiume.
Per
l’estrazione, da tempo ormai sospesa, si usano grandi barche massicce adattate
all’escavazione, dove con la benna di una gru si scarica tutto su lunghissimi
nastri trasportatori che a loro volta crivellano l’inerte a più riprese,
separando sassi di varie dimensioni e la stessa sabbia.
Ora,
essendo da anni sospese le escavazioni dal fiume, la gigantesca nave giace
nella sua imponenza di oltre 20 metri in un’area del cantiere; è stata sistemata
lì dopo la grande piena del 2000 così che quando il letto del fiume ritornò a
regime la nave restò in secca.
Sandro
Vidi ci tiene a precisare che la nave Fosca è ancora funzionante anche se ora
dismessa, la comprò col fratello nel 1980 dai cantieri navali Sarani di Pavia e
segnò una svolta nel lavoro d’estrazione in quanto permetteva di prendere
inerte dal fiume in modo molto più agevole delle pompe draganti; nel letto del
fiume è ancorata anche la nave per l’estrazione Benvenuta ma non è di loro
proprietà.
Nel
cantiere costeggiato dal fiume, troneggiano sparsi nell’area, alte strutture
ferrose utili al lavoro e cioè grandi vagli rotanti e a vibrazione che selezionano
la sabbia mista a ghiaia dove dalla tramoggia viene caricata sui nastri di
smistamento finendo ognuno per creare a caduta libera un grande cumulo di
sabbia, interessante è ritrovare anche qui un macchinario chiamato mulino che
serve a macinare e spaccare un certo tipo di ghiaia.
La
lavorazione del materiale porta ad avere questi mucchi selezionati di sabbia
fine usata per gli intonaci ed il cosiddetto sabbioncino grezzo oltre a
selezionare tre tipi di ghiaia mentre il ghiaione di scarto è accatastato
anch’esso da una parte in un grande cumulo.
Anche
le piene fanno parte delle insidie e sebbene il cantiere si trovi sopra al
letto del fiume di qualche metro le esondazioni da fuori alveo del Po più
importanti rimangono quella del 1968 e quelle del 1994 e 2000 che però non
hanno mai danneggiato le strutture.
Un
altro aspetto curioso è dato dal fatto che negli anni passati, causa la particolare
corrente e conformazione del fiume, non raramente agli addetti al cantiere
capitò di trovare i poveri resti di gente annegata e come raccontano, era anche
un dovere morale ricuperare quei corpi per poterli ritornare alle loro
famiglie.
Tra
i casi è ancora vivo nella memoria quello di oltre trent’anni fa, quando tre
operai intenti a rinforzare la sponda del fiume nella zona del Masero di
Calendasco, poco più a monte del cantiere estrattivo, finirono annegati e
mentre due dei poveri corpi furono presto ritrovati il terzo riemerse esattamente
un mese dopo, durante l’estrazione di materiale dal fiume, spaventando
l’addetto che di colpo si ritrovò viso a viso con quel corpo gonfiato dalla
permanenza in acqua.
Per
chi risiede nel paese la convivenza con questo luogo è diventata quasi
famigliare, difatti lungo la sponda sono attaccate alla riva le classiche
grigie battelline dei pescatori mentre qualche anziano discorre del fiume. La
loro vecchia esperienza di frequentatori del fiume li porta a discutere con una
dovizia di particolari sul fluire e sulla velocità delle acque del Po in punti
ben precisi e di dove lo stesso fiume sia o meno navigabile e anche sanno della
profondità delle acque che dai vari raschi ghiaiosi o da semi sommersi sabbioni
loro sanno dedurre.
Il
sole qui in estate cade sempre a picco e neanche l’ombra dei pioppi riesce a
dar refrigerio mentre l’unico rumore rimane quello dei grilli che fan percepire
in modo intenso, il profumo e il fascino di questi ameni ma vitali piccoli
luoghi di vita padana che fan parte della storia piacentina del lavoro legato
al fiume così amato e a volte anche dimenticato.
Umberto
Battini