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PONTE DI PONTENURE
E’ una città di fiume Piacenza e di fiumi tutto il suo territorio, e nel medioevo questi corsi d’acque affluenti del Po, si potevan passare su ponti in legno, massicci abbastanza da potere reggere carri stracarichi di prodotti ma però pur sempre da mantenere efficienti.
E’ il caso del ponte sul fiume Nure tra Montale e Pontenure: una fitta documentazione ce ne traccia una storia del tempo notevole, in pieno medioevo.
Abbiamo preso questi dati “di prima mano” dal “Registrum Magnum” del Comune di Piacenza, ed è la documentazione originale delle deposizioni testimoniali rese tra il primo ed il venti novembre del 1294, un carteggio in latino notevole.
Intanto si afferma che il “pontis Nurie” collocato “supra Nuriam” è “super stractam Romeam” e conduce “ad locum Pontisnurii” e alle altre località circostanti ed ai luoghi e castelli del distretto di Piacenza (villas circonstantes et loca et castra districtus Placencie).
La manutenzione spettava a chi confinava con il ponte: i proprietari a destra e sinistra della strada verso la città e ugualmente quelli dalla parte che portava verso il paese di Pontenure, così da dividere equamente le spese degli operai e del legname.
Il podestà di Piacenza in persona “Rufinus de Guaschis” autorizza ed ordina al massaro del comune “Iacobo de Medicis” di raccogliere le testimonianze circa i proprietari di terre nei dintorni del ponte perchè è a questi che spetta per obbligo la manutenzione del ponte.
Dal massiccio carteggio compaiono i nomi dei testi locali interrogati, che descrivono terre, case e cose nelle vicinanze del ponte bisognoso di essere rimesso a nuovo, sistemato e manutenuto (et reaptari et conzari et manuteneri...). Non compare mai citato il ponte romano, probabilmente andato completamente in macerie secoli prima ed il ponte medievale è in legno, così come quello sul fiume Trebbia a S. Antonio o Case di Rocco.
Il primo teste è un certo “Marchixius Giruynus iuravit, tactis scriptursi corporaliter” che giura sulla sacra scrittura poggiando la mano su di essa, quindi segue una deposizione vera e propria, passibile però di severe pene nel caso di falso.
Afferma che il ponte era abitudine (consueverat) fosse mantenuto in parte dalla “ecclesia Sancti Bernabovis” e i preti ne curavano la parte del ponte che era “versus civitatem, desuper stractam Romeam”, ma ora la chiesa era diroccata e abbandonata.
Anche Gugliemo dei Rizzoli “de Pontenurio” fa presente che “est vox et fama pubblica” (si dice ed è da tutti ben risaputo) che le terre attorno al ponte sono della “ecclesie Sancti Brrnabovis” e dei suoi sacerdoti, ma anche la “domus de Montali tenet pro ipso ponte...” cioè anche la Casa del Montale ha qui attorno al ponte tante terre coltive. Infatti la deposizione di “Obertus Dezunus beccarius” (macellaio) ammette che molte terre qui attorno al ponte sono della Casa di Montale retta da “frate Iacobo de Valentia” ed aiutato anche nella gestione da “frate Ianone converso”.
Incredibilmente scopriamo che la Società dei Calzolai di Piacenza qui aveva presso il ponte “unum hospitale in terra dicti pontis”, esisteva un “boschum de ponte” e la chiesa di San Bernabò, sulla via Romea, era ormai “fracta et rupta, destructa”.
Insomma tutte le pertinenze scopriamo che eran pure in parte attribuite alla Casa di San Lazzaro (l’ospitale del lebbrosi), e “Guido de Burlanza de Pontenurio” posto sotto giuramento dice che vi era anche un ospizio per pellegrini “quod vocabatur Coxadoche”.
Sempre sul fiume Nure esisteva una fornace andata distrutta sulla via Romea “in qua est fornacis quedam derupta”: la cosa certa è che una fornace per mattoni e una antica chiesa sono ormai “derupte”, un ammasso di detriti, lungo la Francigena, ma si cita anche un mulino su un vicino rivo.
Nelle altre deposizioni emerge chiaro che ormai è “derupta” la chiesa di San Bernabove e questi luoghi erano passati all’ospitale del Montale piacentino “ipsa terras tenet domus de Montali; et dicitur semper...” cioè sempre era stata di questo ospedale, mantenuto dal paratico dei calzolai e perciò per il lavoro di restauro “dicti hospitalis debet dictum pontem reaptare et conzare et manutenere”.
Il lungo testo è in un ottimo latino, con relazioni dettagliate e precise, meritevoli d’esser studiate, sono trascritte dal notaio di Piacenza Pietro degli Adami, che tutto queste testimonianze ha redatto in forma legale per conto “domini potestati et dicti massarii”.
Della fornace e della chiesa sulla strata Romea vicino al ponte sul Nure non rimane traccia storica, a parte queste citazioni che abbiamo ripreso; una scarna riga tratta dallo storico Campi, ci informa di “una chiesa di San Bernabò posta non lungi dal fiume Nura”. Altra citazione sono le Barnabite cioè Monache di San Bernabò di Piacenza che nel 1373 furon tolte da “San Bartolomeo vecchio” e messe in una domus presso il canale della Fodesta, più o meno nel quartiere piacentino di Sant’Agnese.
In quei secoli, su tutto il distretto piacentino la cura dei ponti in legno sui fiumi era per legge affibbiata a chi aveva terre confinanti, con non poche proteste, ma i ponti sulle strade erano cruciali per permettere il transito a tutti, e ancor di più quando si trattava della trafficatissima “stractam Romeam”.
Umberto Battini
articolo da ILPIACENZA.it quotidianoSE COPII QUALCOSA CITA LA FONTE !
29 luglio 2025
28 luglio 2025
LA TABULA
E’ una mappa storica d’importanza cruciale, antica e che nel suo originale la si data almeno alla metà del IV secolo, mentre quella esposta in Austria è derivata da quella antica e riprodotta nel medioevo. Anzi già gli studiosi accreditano la copia medievale ad un'altra di età carolingia, insomma dall’epoca romana venne “tramandata” e ricopiata per via delle informazioni topografiche che riportava.
Basta dire che l’Unesco l’ha messa nel “Registro della Memoria del mondo”, una carta geografica che contiene tutto “l’orbe” conosciuto in quei secoli, pensate che è una delle fonti più importanti al mondo per identificare toponimi antichi e qualcosa di piacentino c'è.
Ed ovviamente è riprodotta una porzione del nostro territorio con le strade e la distanza delle “mansio” (stazioni di sosta e cambio cavalli) per la direzione Parma, Milano, Pavia e ovviamente ben oltre.
Il disegno del territorio piacentino costeggia quindi il “flumine Padus” anche se, con errore, è stato posto tutto sulla sponda sinistra, mentre siamo saldamente su quella destra, un errore che non inficia il risultato dei toponimi.
E’ suddivisa “in blocchi” cioè in varie mappe, e interessante è quella appunto relativa alla nostra zona, dove compaiono le località di “tappa” giornaliera lungo l'antica via romana cioè le "mansio".
Intanto si nota bene la città di “Placentia” con la strada che porta verso Lodi “Laude Pompeia” e quindi su fino a “Mediolanum”, proseguendo invece verso est si arriva a “Florentia” che è Fiorenzuola d’Arda.
Dalla città verso ovest si punta su “Ad Padum” che significa “Al Po” che è identificato dagli studiosi come l'area vicina a Calendasco, luogo di passo del Grande Fiume sulla strada romana diretta a Pavia. Non per nulla restò luogo di traghetto per secoli, per diventare snodo cruciale della Via Francigena tra Lombardia ed Emilia.
L'itinerario della "Tabula" prosegue e passa il fiume Lambro dove si approda a “Quadrata” segue poi la località “Lambrum” per poi arrivare alla città di Pavia “Ticeno”, nome che richiama appunto il fiume Ticino su cui sorge. Circa la distanza che è segnata fra “Placentia” e “Ad Padum” (area di Calendasco), gli studiosi indicano che vada letto in IV (4) miglia e non XX (20), come effettivamente appare ancora oggi, circa sei chilometri.
Eravamo parte della Gallia Cispadana e basti ricordare che la Via Emilia venne iniziata nel 189 a.C. e terminata circa tre anni dopo, ebbene nella “Tabula” questa via romana che collegava Piacenza a Rimini, non è ancora segnalata, quindi il segmento che ci riguarda venne disegnato anni prima.
La città di Piacenza venne edificata nel 218 a.C. su di un terrazzo alluvionale del Po, e controllava l’area ovest verso “Clastidium” cioè Casteggio e Stradella ed era in simbiosi con Cremona sull'itinerario romano della via Postumia.
Dobbiamo l'aver rintracciato e conservato questo reperto al grande antichista tedesco Konrad Peutinger e da qui appunto il "nome" della preziosa mappa.
A Vienna l'originale è conservato nella Biblioteca Nazionale Austriaca, ma una copia, grandissima, la possiamo vedere da vicino a Brescia nel Museo di Santa Giulia.
Ad ogni modo la mappa è una solida testimonianza della posizione strategica, sotto vari punti di vista, di Piacenza e relativi luoghi principali, già cruciali oltre duemila anni fa.
testo di Umberto Battini
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