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19 giugno 2013

STORIA da RICORDARE



 
foto Umberto Battini


L’ospitale longobardo di Calendasco
Nel 1200 ospitio francigeno gestito da romiti penitenti

di Umberto Battini

Lungo l’asse del Po, a soli 8 km dalla città di Piacenza al nord-ovest vi è il piccolo borgo padano di Calendasco (Kalendasco nelle carte longobarde). Oggi in questo luogo da ormai oltre un decennio vi è il porto francigeno per eccellenza cioè quello indicato da Sigerico che da qui transpadò verso Corte Sant’Andrea. In antiche carte del 1153 fino ad arrivare al 1184 ed oltre appare citata in capite burgi calendaschi   la strata romea.
Nel piccolo borgo divenuto nei secoli a passare un luogo contadino si conservano alla nostra vista 4 insigni monumenti: il piccolo eremitorio-ospitio, il castello del XIII secolo, il più antico ricetto del sec XII e ovviamente la chiesa della quale possediamo carte longobarde del VIII sec.
Questa volta presentiamo ai lettori una breve storia del romitorio perché fu da qui che prese avvio la conversione di San Corrado Confalonieri che fu penitente terziario poi pellegrino ed eremita del Terz’Ordine di San Francesco.
Nella parte più antica del conventino ospedale francigeno conserviamo la parte longobarda con un pozzo a camicia in cotto.
Nel 1200 era retto da una piccola comunità di terziari o penitenti quelli per l’appunto nati da S. Francesco e poi ben regolarizzati con la bolla del 1289 Supra Montem.
Nel 1280 reggeva il luogo il p. Aristide che qualche documento dà per Beato.
Fu lui che nel 1290 andò a Montefalco a costruire il convento di quella che divenne S. Chiara di Montefalco! Finito quel cantiere ritornò in Calendasco (questa storia è attestata addirittura da un antico storico montefalchese) e di questo noi abitanti del luogo andiamo fieri.
Ma lo stesso S. Corrado Confalonieri, nato nel 1290 nel castello del paese del quale la famiglia fu feudataria per oltre due secoli, è parte storica del piccolo convento-ospedaletto.
Difatti dopo l’incendio che causò nel 1315 fu da p. Aristide qui accolto e  ci visse circa dieci anni partendo poi pellegrino verso Gerusalemme e fermandosi poi a vivere da eremita in una nuda grotta tra i monti della Valle di Noto in Sicilia!
Ma questa come detto è un’altra storia che vi proporrò a tempo debito.
Il romitorio-ospitio di Calendasco aveva una bella dimensione, se pensiamo che la sala capitolare è tutto sommato di notevole grandezza.
La piccola primitiva chiesetta annessa sorge lungo l’asse stradale, una mappa del 1500 conservata in archivio di Stato a Parma ci mostra il paese con la chiesa, il castello ed il convento-ospitio fornito di un apprezzabile campanile.
Appena sotto il portico si mostrano le tante piccole porticine che davano alle varie camere della foresteria mentre la parte conventuale ha una bella scala in cotto che sale due piani con le stesse caratteristiche che potete aver notato nei piccoli eremitori francescani umbri.
Possediamo documenti di vari secoli dell’edificio che veniva usato nel 1600 quale luogo di aggregazione della popolazione per riunirvisi previo campana pulsata.
Molti atti notarili del paese sono redatti proprio qui, perché il luogo aveva anche un carattere morale, e quindi il notaio rogava in hospitio dicti loci calendaschi a volte subtus portichii altre voltre in camera superiora. Anche gli storici del Terzo Ordine Regolare di S. Francesco della Curia Generalizia di Roma nei secoli hanno scritto di questo posto che dicono essere uno tra i più importanti, ricordando che nel 1280 proprio a Piacenza si tenne un Capitolo di Penitenti (fratres de penitentia nuncupati).
Questo luogo nel 1300 era appellato “del gorgolare” perché a circa 100 metri vi era un mulino (oggi ancora esistente ma chiuso) le cui acque del rivo macinatore di Calendasco facendo una curva a gomito proprio davanti al conventino creavano quindi quel perenne rumore delle acque detto gorgogliare.
In questi anni recenti il luogo è stato sapientemente restaurato in ogni parte dal proprietario – devotissimo al pari mio! Di San Corrado! – e sotto al grande porticato d’ingresso abbiamo potuto svolgere i primi due (di cinque) convegni di studi nazionali in onore di S. Corrado, orgoglio di Calendasco! In effetti noi ci vantiamo non solo di avergli dato i natali fisici nel castello ma anche quelli “spirituali” nel romitorio dei penitenti.
In breve eccovi dunque una sintesi storica del nostro monumento insigne che oggi viene custodito con amore e, posso aggiungere, anche con “venerazione”.

Umberto Battini


17 giugno 2013

PO PIACENZA PONTE






Nell’anno 1394
Acqua acqua acqua, a Piacenza non manca mai
Una straordinaria inondazione del fiume PO

di Umberto Battini

Settembre porta pioggie, ma il bello è che era piovuto a dismisura più su nel lontano Piemonte.
La piena stavolta arriva aspettata e temuta, tutti a Piacenza e nel suburbio più prossimo alle sponde lo sanno bene! Quante volte dopo giornate di pioggia, i poveri contadini hanno aspettato quelle masse d’acque che si dilatavano sui loro campi coltivi.
Stavolta era peggio.
L’amato PO ruppe gli argini e dove non li spezzò li soverchiò ed anche le chiuse delle ripe non resistettero. Uno spazio immenso di terreno rimane allagato.
Non contento del danno, stavolta l’amato PO mostra il suo braccio di ferro e riesce a rompere ben diciassette travate del ponte che era piantato davanti alla città di Piacenza.
Si formò una specie di nuovo alveo nel bel mezzo di terre colte e fruttifere ed il danno era inestimabile sia per il pubblico che per il privato.
Passarono i giorni, tanti e forse troppi, e finalmente tutto tornò nella norma.
Anche questa volta era andata… ma quel settembre era solo il preludio inaspettato del lungo autunno anch’esso presago di nubi, di acque e di fango.

Umberto Battini
elaborazione da notizia cronografica storica


15 giugno 2013

1152 ACCADDE CHE...




PIACENZA 1152 addì 13 luglio
IL BOLIDE

di Umberto Battini
 
Le possenti mura cittadine erano una benedizione per i piacentini, in special modo quelle poste d’intorno alla città dal lato del nord-ovest ovvero ove è la strada che giunge da Calendasco ai prati di campagna. Lì è la prima propaggine cittadina e c’è in bella mostra la chiesa di S. Maria di Campagna e non lungi quella di Santa Vittoria.
Luglio è un mese particolarmente afoso e caldo da queste parti. Anche la notte è tremendamente cocente e l’umidità non ti dà tregua se non in sul far dell’alba ma proprio per poche ore.
Il Po scorre a poco meno d’un chilometro da quel luogo e forse è anche per questo che c’è chi crede che la forte umidità e le zanzare a nugoli siano anche colpa del fiume.
Appena dopo il pranzo il sole è al picco ed il calore diventa insopportabile, così i poveri contadini non han da trovar rifugio che al ridosso di quelle grandi mura di mattone al cospetto di una livida ombra refrigerante per quel che può.
Ma ecco che dal cielo appare all’improvviso alla loro vista una colonna di fuoco, che abbassatasi verso terra e raggiratesi intorno a quelle mura della città, consumò tutto quanto le si parava dinnanzi, andando a far rovina della torre di S. Maria di Campagna e poi il tetto della chiesa di Santa Vittoria ed anche qualche casupola.
Dopo questo vorticoso danno andò finalmente con veloce e tortuoso giro a perdersi nelle acque del Po.
Ammutoliti assistono gli uomini proni a quell’ombra e quasi increduli s’alzano e fuggono attorno e si dan da fare per aiutare del riparare quei danni.
Siamo nel 1152 e a Piacenza c’è ben altro cui prestar orecchio, infatti con la morte di Corrado III era succeduto al regno di Germania il Barbarossa che con possente esercito se ne partì per l’Italia. Per i piacentini sono tempi di rivolta e di guerra, una colonna di fuoco non è che mesto presagio ed ancora una volta è il poderoso fiume a smorzare quel turbine pestifero. “Siano benedette le acque del Po!” vocifera la gente mentre la calura non dà tregua a nessuno.
Il fenomeno delle palle di fuoco già nell’800 lo classificavano nella classe dei Bolidi ed è dovuto a scariche elettriche.

Umberto Battini
Racconto ideato su di una reale notizia storica piacentina


12 giugno 2013

METEORA del 1651




Una meteora!  Nel cielo… sopra la città!
PIACENZA e LA FINTA FINE DEL MONDO

di Umberto Battini

Anno del Signore 1651, a Piacenza è stata una fredda giornata. Febbraio è un mese che non perdona da queste parti ed era appena iniziato. Consolava che un piccolo sole avesse illuminato le poche ore della giornata invernale.
Viene la sera. Gli stallieri e i mungitori hanno il duro compito di lavorare anche nella notte, quella fonda!
Sono quasi le due d’una serena, fredda e buia notte piacentina del 3 febbraio.
Sopra al cielo della città e sulla campagna da verso mezzogiorno arriva un bagliore e un sibilo.
E’ un attimo: lo sguardo in alto rivolto al cielo, a quello strano oggetto infuocato; ti viene da pensare alla fine del mondo quella che il tuo prete molto spesso ti racconta quando sei in chiesa.
Un boato sordo come voce d’orco e un bagliore veloce come il fulmine che per pochi attimi illumina le sagome dei tuguri, delle case e delle lontane cascine.
Quella sfera infuocata centra il Po, è lui che ancora una volta salva da una possibile tragedia, è il grande Po che come calamita chiama a sé quel mostro di fuoco.
E quel boato sordo ha svegliato tante genti, piccole fiammelle appaiono alle finestre delle case e qualche voce chiama e chiede notizie.
Al mattino si corre al Po, qualcuno lo ha già fatto nella notte. I Dottori di Piacenza dicono che era una meteora, qualcosa che viene dal cielo e che non centra con la fine del mondo… ma il prete ha già suonato le campane e stavolta anche gli uomini corrono alla preghiera… meglio prevenire!

Umberto Battini
Questo racconto l’ho elaborato sulla notizia vera degli storici di Piacenza quali il Poggiali ed il Boselli